domenica, aprile 16, 2006

mercoledì, aprile 12, 2006

Chi sono i coglioni?

Ricevo da un'amica e volentieri pubblico:

Cari tutti,

esattamente una settimana fa, Federica inviava a molti di voi un’indignata lettera post-confronto Prodi-Berlusconi. Oggi (ieri ndBigio) sono le dieci e mezza del mattino, e le nostre sorti dipendono dai voti degli italiani all’estero, ancora in conteggio. Qualunque speranza ancora ci sostenga è attaccata a quei voti, ma questo non toglie l’inquietudine che il proporzionale, in una fotografia dai contorni netti, ci regala del nostro Paese: come ha detto il primo portavoce di FI che ho sentito ieri, quella che abbiamo visto delinearsi sempre più definitivamente, nel lungo pomeriggio e nella lunga serata, è un’Italia tagliata in due.
Innanzitutto, in senso geografico. L’emicrania che ha cominciato a martellarmi ieri alle undici, e che dopo quasi dodici ore non vuole convincersi a lasciarmi, mi ha impedito di controllare con attenzione gli ultimi dati del Senato: non so quindi se la Campania sia stata assegnata all’Unione o alla Cdl, idem sul Lazio, eccetera. Ma un dato sicuro è che anche la Sicilia ha assunto una fisionomia elettorale normale, dopo il 61 a 0 del 2001: mi sembra evidente che la Camera delle Regioni avrà quasi tutti i senatori del Nord nella Cdl. Inquietante. Cosa vuol dire? Ieri pensavo: questo governo negli ultimi cinque anni ha dragato risorse dal centro e dal sud e le ha iniettate altrove, per salvare il suo elettorato piccoloimprenditoriale del nord. Ma mi sembra una spiegazione troppo, troppo semplice. E l’elettorato di AN? E le regalìe sul modello del governo Cuffaro, che ci ha donato in questi anni tuffi nel passato della prima Repubblica?
La spaccatura geografica è significativa, ma di ardua interpretazione, e soprattutto non così netta: Campania Lazio, a lungo in bilico, così come il Piemonte, tra una parte e l’altra. E questo è il dato inquietante e la vera spaccatura: una nazione tagliata sul filo del 49%-51%. E non è una nazione tagliata in due come la Germania, dove è la difficoltà di elaborare politiche economiche dal profilo chiaramente distinto che ha portato alla Grosse Koalition (e scusate la semplificazione
dell’analisi che non è un’analisi, è solo un esempio contrastivo). Non è insomma l’eccesso di somiglianza che ha provocato quell’oscillazione intorno al baricentro impossibile del 50%, ma il contrario: una spaccatura reale e autentica, di mentalità e cultura.

E qui, di nuovo, ritiro fuori Federica, e i dialoghi post-confronto dello scorso lunedì e di tutti gli aperitivi pisani che sono seguiti, in cui lei e io facevamo un po’ le parti delle pessimiste ad oltranza. Non nego che nel mio pessimismo ci fosse una notevolissima dose di scaramanzia: e
non nego neppure che, data la situazione attuale, per una volta di può rispondere a Cipputi che «poteva andare peggio». Però questo non elimina il dramma della spaccatura.
Che è una spaccatura, mi sembra, culturale più che geografica o economica.
Pisa non è un buon osservatorio, non lo è neppure la Toscana, ma se è per questo non lo è neppure Milano. Domenica sera, appena arrivata nella fonda provincia lombarda, sono andata a trovare un’amica al seggio. Se io ero pessimista, lei di più. E la capivo: le vedi, quelle facce di
pensionate e pensionati, e lo senti, che voteranno B. – o se proprio ci va bene, Lega.
Ma soprattutto, mi diceva lei, che chiacchierando con i suoi compagni di SISS milanesi, aveva trovato lo stesso scoglio di incredulità che avevo sentito anch’io a Pisa: no, non è possibile, stavolta no davvero, non lo possono votare ancora. E così pensavano i giornalisti del Guardian o
dell’Economist, tutto il giornalismo francese – mi diceva Erica ieri sera -, insomma tutti gli analisti stranieri. Che infatti già prospettavano un futuro di ritorno del grande centro, della DC in versione reloaded e forse extended: ma B. era finito. E invece Forza Italia è il partito più forte d’Italia. Con quel nome, d’altronde, non poteva essere altrimenti.

Dunque, l’Italia divisa, e divisa tra la città e la provincia (Milano e la sua provincia), tra i dipendenti statali e quelli privati (il nord e il centro), tra i pensionati e i giovani (ma esistono i giovani? Ma dove sono, perché in Francia… ma lasciamo perdere paragoni insensati: la Francia è la Francia, ha Parigi che tutto accentra anche buona parte del sistema universitario, etc.) - certo, tra i pensionati e i giovani, tra i miei genitori e me, perché loro NON HANNO NIENTE DA PERDERE da altri cinque anni di B. Non come noi, perlomeno: la pensione ce l’hanno, e ce
l’hanno garantita. Siamo noi – che abbiamo più di venticinque e meno di trentacinque anni – che siamo realmente bloccati nel nostro ingresso «nel mondo» - quello che raccontavano i Bildungsromane dell’Ottocento… - da cinque anni di malgoverno e da cinque anni di…? (ma cosa ci aspetta realmente dai prossimi anni?).

Ma così sembra davvero un piagnisteo sulla sorte rea e cruda che ci è toccato vivere ed affrontare. Rimane il grande interrogativo, che non è solubile solo ricorrendo alla risposta generazionale. Chi vorrà analizzare sociologicamente, e coloro che dovranno solvere il problema politico di come distaccare quella metà esatta di italiani ancora sensibile dopo cinque anni di peggioramenti generalizzati alle sirene del populismo, deve volgere lo sguardo sulla provincia profonda. Almeno al Nord, cioè nei luoghi che conosco e di cui avverto istintivamente e intuitivamente le movenze – ma non chiaramente e intellettualmente le ragioni –, al fondo
di questa sensibilità sta una mole, inimmaginabile dalla “civile” Toscana, dalla “colta” Pisa, dalla “internazionale” Milano, di qualunquismo: «e poi dicono che tutti sono uguali, che tutti rubano alla stessa maniera».

Mia madre che ieri sera cercava disperatamente una scappatoia agli imperanti speciali sulle elezioni, sbuffando. I miei zii e i miei cugini che votano (ancora!) la Lega perché non sono in grado di concepire la politica (e molti di loro hanno la laurea) al di là del panorama immediato del loro
paese e – al massimo – della provincia. E soprattutto: bisogna che qualcuno si metta ad analizzare le strutture concrete di diffusione del potere in queste realtà – che sono le MAGGIORITARIE numericamente in questo fottuto, fottutissimo paese. Maggioritarie, va bene, ho esagerato: che sono la realtà più misteriosa eppure che assomma metà – o un po’ meno: diamo alla mafia, alla criminalità organizzata al sud, e alla corruzione, quello che loro spetta in relazione all’influenza di questo centrodestra sull’elettorato. Perché quando sono entrata nel mio seggio del mio paese, i “maggiorenti” erano tutti lì – come rappresentanti di lista, presidenti o scrutatori o segretari di seggio – con il doppio petto blu d’ordinanza e la spilla di «Berlusconi presidente». Ed erano sempre i soliti: quelli che nel paese ci sono da sempre, da almeno tre generazioni, che sono stati sempre dentro le cose che contano – la parrocchia e il Comune – quelli che hanno avuto i soldi per far studiare i figli quando ancora i laureati solo per il loro titolo di studio erano ritenuti degni di governare, eccetera.

Studiare la relazione tra le facce e i simboli di partito: e le facce, in queste realtà, contano.
Ieri Erica diceva: perché c’è questa sfasatura tra il voto amminsitrativo – che sorride alla sinistra – e il voto nazionale? Quanto ha influito l’assenza delle preferenze – e quindi di una campagna elettorale giocata sul territorio e sulle persone – nelle difficoltà della sinistra? Eppure per la Lombardia questo non conta… è la regione più popolosa d’Italia, la più ricca, con il maggior numero di attività economiche e di lavoratori altamente specializzati, laureati, presumibilmente colti. Ma non è ancora una realtà metropolitana. Milano non è Londra. O meglio: Milano si riempie la mattina e si svuota la sera di provinciali che vi lavorano ma tali restano.
Ieri Pansa faceva l’arrogante e il superiore, dicendo: questi chili di carta stampata antiberlusconiana – i giornali, i libri -, questi film questi comici: dovranno rivedere la loro posizione. Quasi a dire: nonostante l’egemonia massiccia della sinistra nei canali di
trasmissione delle informazioni, lui ha vinto – o perlomeno non ha perso – e quindi tutti coloro che su quei mezzi si sono espressi hanno sbagliato i loro conti. Pansa è uno stronzo, uno che usa in malafede la propria intelligenza. Perché non credo possa permettersi di ignorare che i quotidiani in Italia sono letti da circa un milione di persone al giorno (1/47 degli elettori), quelli che entrano nelle librerie sono ancora meno, e chi va a vedere i film della Guzzanti o il Caimano ci va perché già ne condivide idee e opinioni. L’unico strumento nazionale che tutti gli elettori condividono – anche chi per snobismo dice di non vederla mai – è la televisione. La gente non parla dell’ultimo libro di Pansa, e non pensa che i comunisti siano cattivi perché ha letto e condivide la ricostruzione storica di “Il sangue dei vinti”. La gente parla della Fattoria e del Grande Fratello. Magari non vede il confronto Prodi-Berlusconi, ma il giorno dopo sente il Tg e scopre che B. abolirà l’Ici. E magari non ci crede o magari non gliene frega niente, ma quel messaggio passa e la
“felicità” di Prodi, francamente, un po’ meno. E comunque: prima del confronto magari non ci aveva neanche ancora pensato, a cosa votare domenica 9 aprile. E il 10 mattino va a lavorare tranquillo, e per tutto il pomeriggio si dimentica del rito ininfluente nella sua vita che ha compiuto il giorno precedente. Mentre noi abbiamo reso incandescenti i nostri telefoni, e zappato furiosamente tra i canali televisivi per tutto il pomeriggio alla ricerca di dati, dati, dati, sempre un po’ più sicuri e sempre un poco più tristi, oppure abbiamo tenuto solo la radio accesa facendo finta di fare altro – e sentivamo che stava oscillando un destino collettivo e il nostro dentro quello.

Ecco, l’ho usata, la parola: «noi». E poi ci sono «loro».

Scusate lo sfogo. Volevo condividere cose che intuisco e vedo, e che mi vergogno di continuare a vedere, e mi sembra a volte che siano realtà e fenomeni non abbastanza considerati. Al di là di tutto, al di là della vittoria regalataci dalla legge elettorale voluta dal centrodestra (chi sono, oggi, i coglioni?), su questa spaccatura bisogna, è urgente, riflettere.

Anna

mercoledì, aprile 05, 2006

Scatenati coglione!


Mancano pochi giorni al voto e sopravvivere alla campagna elettorale diventa sempre più difficile.
Contribuisco con questo banner a determinare l'esito delle votazioni. O forse no, ma è comunque divertente.

lunedì, aprile 03, 2006

Dichiarazione di Voto

EDITORIALE di PEPPE SINI: UNA DICHIARAZIONE DI VOTO
Per favore, non stiamo a parlare delle scempiaggini e delle pagliacciate con cui il primo ministro tenta distrarre l'attenzione da cio' che conta e ridurre tutto a suburra.
Di cio' che conta occorre parlare per giudicare, per decidere, per esprimere un voto che salvi la cosa pubblica dalla catastrofe.
*
Decidere se siamo dalla parte della mafia o dalla parte di chi la combatte.
Decidere se siamo dalla parte degli sfruttatori o degli sfruttati.
Decidere se preferiamo la guerra di tutti contro tutti o lo stato di diritto.
Decidere se siamo dalla parte dei razzisti e dei golpisti al potere o della Costituzione repubblicana scaturita dalla lotta antifascista.
Decidere se della natura pensiamo che sia uno scrigno da forzare e saccheggiare o una casa comune e un sistema vivente di cui siamo noi stessi parte in cui vivere e convivere.
Decidere infine se deve proseguire il regime del patriarcato che nega piena dignita' umana a meta' del genere umano o se prendiamo sul serio quella dichiarazione secondo cui tutti gli esseri umani hanno uguale diritto alla vita, alla liberta', alla solidarieta'.
*
A chi mi chiede per chi voto alle prossime elezioni politiche, rispondo: per la coalizione di centrosinistra che si oppone alla coalizione berlusconiana; e per il solo, semplice fatto che si oppone alla coalizione berlusconiana.
Perche' solo con la sconfitta della coalizione berlusconiana si potra' difendere, salvare, promuovere la Costituzione repubblicana, la legalita', la democrazia nel nostro paese.

Io sottoscrivo appieno.