sabato, luglio 30, 2011

La Storia di Sergio e Luis (6a parte)

La storia si tinge d'azione e di drammaticità... siamo nel cuore del racconto, laddove gli eroi affrontano pericoli indicibili nel tentativo di raggiungere la meta che si sono prefissati. Ce la faranno Sergio e Luis a recuperare il tomo delle gesta di Bart il tasso?


Il signor Knodeldome se ne stava beato a rimirare il tramonto, scaldandosi le mani con una corroborante tazza di thé alla cannella. Sua moglie Greta non era in casa, e non sarebbe tornata prima di lunedì prossimo, quindi poteva permettersi di lasciar languire i piatti sporchi nel lavello e il letto da rifare tutto il giorno. Aveva trascorso la giornata guardando film di kung-fu di infima categoria, affittati presso la videoteca del paese, e adesso stava per gettare nel microonde una busta di polpettine Ikea che sarebbero state una cena più che soddisfacente. Non poteva certo immaginare che proprio in quel momento, in casa sua, un kiwi e un pettirosso stessero vagando nel tinello, discutendo animosamente sul modo in cui aprire la porta.
«Sei un cazzone, Luis. Siamo bloccati qui dentro in compagnia di una tavola da stiro e una pila di panni che puzzano di lavanda. Pensavo che avessi un piano.» Il kiwi si sedette sul parquet sbuffando rumorosamente.
«Non sono mai stato in questa tana, non so come si arriva alla stanza dei libri. – Tentò di giustificarsi il pettirosso. – Wittie mi ha descritto il luogo dove viene conservato il tomo di Bart il tasso, ma lo riconoscerò solo quando ci arriveremo.»
Dopo aver camminato in direzione dell'alba per quasi un giorno, quello che Sergio avrebbe voluto era che la cosa fosse stata molto più semplice. Tipo entrare, prendere il libro, e uscire. Proprio così. Invece non era stato semplice niente, fin dall'inizio. Appena giunti in vista delle enormi mura bianche della tana degli umani avevano dovuto aggirarle fino a trovare una breccia nella rete (e questo perché Sergio non era in grado di volare, maledetto zio ancestrale). Scavando nel terreno molle con gli artigli, il kiwi era riuscito a scivolare sotto le maglie metalliche, e si erano ritrovati nel giardino. A quel punto si erano fermati a chiedere indicazioni al chihuahua del padrone di casa, che li aveva aiutati volentieri, anzi aveva aggiunto: «Cagategli sul letto, a quel deficiente. Così imparano lui e la moglie a mettermi quei vestitini ridicoli del cazzo quando arriva l'inverno.»
Sebbene né Sergio né Luis avessero compreso esattamente di cosa stesse parlando il cagnolino, lo avevano ringraziato per l'aiuto e si erano diretti verso il lato della casa, laddove il chihuahua aveva assicurato che avrebbero trovato una finestra aperta. E in effetti una finestra aperta c'era. Ma mentre Luis era subito volato sul davanzale per sbirciare dentro, Sergio aveva dovuto scalare la cuccia del cane, saltare sulla caldaia, e poi lanciarsi nel vuoto in direzione dell'amico. Grazie al cielo, era riuscito a non precipitare di sotto. Quindi erano scivolati entrambi all'interno, finendo per rimanere intrappolati in un buio sgabuzzino colmo di cianfrusaglie.
«Come si apre la porta di questa stanza?» Domandò Sergio, spazientito.
«Perché pensi che io conosca le risposte a tutte queste domande? Mica ci abito io in questa tana! Il mio nido non ce le ha le porte. E nemmeno le finestre. A che cazzo servono le finestre? Se uno vuole guardare fuori, basta non costruire il muro.»
«Beh prova a sbatterci contro. Magari la porta si apre.»
Luis restò per un attimo interdetto. Poi lanciò uno sguardo alla porta, ci rifletté qualche altro secondo, quindi si alzò in volo e prese a girare vorticosamente per la stanza. Dopo aver compiuto quattro o cinque giri, giusto per essere sicuro di aver raggiunto una velocità sufficiente, si lanciò con tutta la foga possibile contro il legno. Sfracellandosi. Il rumore prodotto dal suo cranio fu simile a quello di una noce che si spacca sotto i denti di un cinghiale. Il piccolo pettirosso rimbalzò in aria e precipitò su una cesta colma di calzini ancora da appaiare. Immediatamente Sergio si precipitò dall'amico.
«Ma che cazzo fai??? – Gli gridò. – Cosa sei, coglione? Stavo scherzando!»
Il pettirosso era disteso con le ali aperte e le zampe in aria, la lingua fuori dal becco e lo sguardo vitreo di chi sta tirando le cuoia. Il pedalino bianco sul quale giaceva supino era già intriso del sangue che gli fuoriusciva copiosamente dalla testa. Sergio afferrò col becco il pedalino e cercò di avvolgerci meglio che poteva la testa di Luis.
«Sergio...» Pigolò l'uccellino.
«Dimmi!» Gli rispose Sergio, leggermente sorpreso.
«Sergio non vedo più niente...» Proseguì Luis.
«Perché hai un calzino zuppo di sangue sulla faccia.»
«Sergio ho paura che non ce la farò. – Il pettirosso ormai faticava anche solo a parlare. – Ma tu non devi rinunciare... Ti prego... Recupera... Il tomo...»
«E basta con questo libro della minchia! – Sbottò il kiwi. – Sono giorni che farnetichi e non parli d'altro! Basta con questa storia del racconto, che noi dobbiamo seguire il destino degli eroi e tutto il resto. Eccolo il tuo destino da eroe! Ti sei spaccato il cranio sul legno di una porta. Sei proprio fico, eh già! Scommetto che comporranno una canzone su di te. Ma che dico! Scriveranno un libro, proprio come quello di Bart il tasso. Adesso smettila con queste stronzate... dai torniamocene a casa...»
Una lacrimuccia sgorgò prepotente dal margine dell'occhio sinistro di Sergio. Luis non si muoveva più. Sergio avrebbe voluto strizzare le palpebre e teletrasportarsi altrove, non gli importava dove. Si sarebbe volentieri scagliato tra gli spazi siderali, avrebbe attraversato mondi e dimensioni parallele, avrebbe desiderato volentieri giungere là, dove nessun kiwi era mai stato prima. Un posto dove niente era consueto, ma nemmeno conosciuto e men che mani usuale. Avrebbe voluto non sapere più niente di niente, disconoscenza totale. E poi svegliarsi nel suo letto chiedendosi cos'è che aveva da fare oggi, senza nemmeno ricordarselo. Questo gli sarebbe piaciuto. Dimenticare e tirare avanti.
Invece non ebbe il tempo nemmeno di asciugarsi quell'unica, preziosa lacrima. Il signor Knodeldome irruppe nella stanza, bofonchiando parole incomprensibili nella sua lingua oscura. La porta si spalancò e l'omone mosse un paio di passi sul parquet, facendolo scricchiolare minacciosamente, quindi cominciò a ruotare la testa in tutte le direzioni. Probabilmente aveva udito il cozzare della testa di Luis sul legno e questo aveva richiamato la sua attenzione. Il kiwi schizzò velocemente sotto una pila di panni. Nascosto lì sotto gli giungevano solo echi distanti di ciò che stava accadendo, e non sapeva come avrebbe reagito quel corpulento mammifero semmai avesse scoperto che una palla di piume beccuta stava nuotando nella sua biancheria pulita. Preso dal panico, si spinse oltre fino a sbucare fuori dal cumulo di indumenti ammucchiati. Notò che il signor Knodeldome era chino sul cadavere di Luis. Il suo amico pettirosso sarebbe diventato pappa per il chihuahua? Chi lo sa. In ogni caso non c'era spazio per i sentimenti, Sergio doveva approfittare della situazione. Balzando sulle zampe, il goffo pennuto corse oltre la soglia della porta, rimasta fortunosamente aperta. L'ultimo pensiero che Sergio lasciò nella stanza fu che alla fine, con quel colpo di cranio, Luis la porta l'aveva aperta davvero.

venerdì, luglio 29, 2011

Novità che fanno piacere sul fronte Pathfinder

Saltando sul sito della Paizo, ho notato con piacere che la saga di avventure Carrion Crown è giunta al termine. E intendo dire che sono felice di poterla finalmente leggere tutta dalla prima all'ultima pagina! Si tratta di una campagna fantasy-horror di cui avevo già parlato in precedenti post, ambientata in un regno cupo e tetro che ricorda moltissimo la Barovia di Ravenloft. Nel quarto modulo della campagna, tuttavia, venivano introdotti culti e divinità dichiaratamente lovecraftiane, trasformando il tutto in una specie di medioevo oscuro angoscioso e opprimente. Contemporaneamente alla chiusura della campagna suddetta è stato lanciato il primo modulo della nuova campagna, Jade Regent, scritta nientemeno che da James Jacobs. L'avventuriera bardo in copertina già mi piace, inoltre sullo sfondo si vede la fattucchiera (nuova classe introdotta nella Guida del Giocatore) combattere fianco a fianco con il monaco, e trovo pregevole che la Paizo ami mescolare in ogni prodotto tutte la variabili che sono introdotte nei manuali precedenti. Tra l'altro, non si tratta di bulimia editoriale: finora i cartonati usciti, se si escludono i bestiari, sono appena cinque. Oltre al Manuale di Gioco e alla Guida del Giocatore (editi in italiano da Wyrd Edizioni) in inglese sono disponibili anche la Gamemastery Guide, Ultimate Magic e Ultimate Combat.
In quest'ultimo manuale, che non ho avuto ancora il piacere di sfogliare, sembrano essere presenti regole molto interessanti. Scorrendo il sommario sul sito della Paizo si legge: Tons of optional combat rules like called shots, armor as damage reduction, and new ways to track character health. Decisamente interessante. Ben fatto Paizo.

Drizzit 96

Una volta Oscar Wilde disse: «Datemi il superfluo e farò a meno dell'indispensabile.» Ma io preferisco vederla in modo diverso. Immagino che a molte persone, se fosse tolto il superfluo, non resterebbe nulla. Odio la frase «L'essenziale è invisibile agli occhi.» che tutti citano dal Piccolo Principe. Non è vero. L'essenziale, proprio perché essenziale, è davanti a noi tutti i giorni. Però preferiamo le cazzate. Ora vi starete chiedendo che c'entra tutto questo con Wally... beh c'entra. Non volevo che Wally possedesse tratti negativi, Wally è il "buono" del gruppo. Tuttavia credo che alcuni aspetti della sua ingenuità possano essere considerati negativi, da molte persone. Ma se non li possedesse, non sarebbe credibile.

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mercoledì, luglio 27, 2011

La Storia di Sergio e Luis (5a parte)

Eccoci alla quinta parte del mio racconto per bambini, soprattutto per quei bambini che hanno bisogno di favole vere. La storia procede bene, credo che in tutto saranno 8 parti. So che molti genitori la stanno narrando sera per sera ai propri figlioli. Vi suggerisco di mettere qualcosa di adeguato come sfondo musicale, tipo i Red Hot Chili Peppers.


La festa era cominciata da appena un'ora e già Sergio si era intasato di tartine alla falena. Si aggirava tra le pigne, disposte in modo ornamentale, ammirando il modo in cui quell'angolo di bosco era stato addobbato, in onore dell'ultima notte da scapolo di Sebastiano l'upupa. Bacche nere e rosse, disposte a terra delimitavano la zona di ballo, l'angolo bar e il salottino. La frattona prima dello stagno era stata allestita a privee. Foglie di mais e piccole pannocchie penzolavano dai rami più bassi fare ambient. Sergio afferrò con il becco un'altra tartina, sfarzosamente collocata su un tappo di bottiglia rovesciato, e la ingoiò svogliatamente.
«Che palle.» Pensò, ad alta voce.
«E dai! Aspetta almeno che arrivino le ragazze... vedrai come si scalderà l'atmosfera.» Gli suggerì Luis, che lo seguiva come un'ombra sin dall'apertura del locale. Entrambi sapevano che a feste del genere conviene presentarsi in ritardo, altrimenti ci si annoia a morte nell'attesa che arrivino tutti gli altri invitati, ma Sergio aveva insistito per essere puntuali, forse perché sperava di andarsene presto.
«Quali ragazze?»
«Beh mi hanno detto che hanno affittato uno stormo di colombe spogliarelliste che si esibiranno in uno spettacolino erotico, cercando di coinvolgere Sebastiano.»
«Quel coglione. Ma dov'è?» Chiese Sergio.
«Credo che si sia infilato nel privee per ubriacarsi con gli amici.»
«La festa vera e propria deve ancora cominciare e lui già si sbronza?»
«E' così che si affrontano gli addii al celibato: sbronzi fin dall'inizio!» Gli spiegò il pettirosso.
In quel momento dal cespuglio all'ingresso si fecero avanti una decina di loro amici, tutti insieme. C'era Filippo er papera, Calogero e Orlando assieme al cugino Beppe (Sergio già odiava le nutrie, Beppe poi era irritante anche per gli standard di una nutria), Mimmo e Tiberio che avevano appena fatto la muta, quel porcospino di Sammy assieme al suo compagno di bevute Tobia, Umberto che come tutte le testuggini non capisce mai quando una festa è riservata ai giovani, e infine Sandro con la sua solita flemma e le antenne all'ingiù. E assieme a lui entrò pure Teresa.
Sergio quasi si strozzò con la tartina che aveva in bocca.
«Checcazzo ci fa qui Teresa?» Esclamò il kiwi, sgranando gli occhi.
«Non lo so, ma pare che accompagni Sandro... Forse Sebastiano era ubriaco già quando spediva gli inviti.» Ipotizzò l'amico.
Teresa sparse lo sguardo nella sala, finché non incontrò quello di Sergio. Gli fece un cenno di saluto col becco, poi l'intero gruppo di ospiti appena entrati ricevette il benvenuto da Sebastiano, che dopo averli salutati con la consueta cortesia, corse a vomitare nello stagno.
Teresa e Sandro si avvicinarono a Sergio e Luis. Il lumacone immediatamente sbrodolò una serie di saluti incomprensibili che finivano con «...di vedervi.» e Luis non mancò di rispondere con l'inevitabilmente appropriato «Anche noi, Sandro... Anche noi.»
«Teresa tu che cazzo ci fai a un addio al celibato?» Le chiese gentilmente Sergio.
Luis si irrigidì e per distrarre Sandro gli offrì una tartina, ma il gasteropode declinò con un garbato oscillare delle antenne, più interessato alla conversazione che al cibo.
«Sono venuta con Sandro. Lui aveva un invito ma non voleva venirci, così io gli ho detto: e se ti accompagnassi io? E lui ha detto di sì. Ed eccomi qui! Tu piuttosto, non sei felice di vedermi?»
«Questo è un addio al celibato, Teresa... l'ingresso è vietato alle femmine di ogni specie animale.» Cercò di spiegargli il kiwi, ma Teresa sembrava essersi già infastidita, come se non volesse trattare oltre l'argomento. Si voltò di lato indispettita, poi aggiunse:
«Evidentemente non è così, visto che mi hanno fatto entrare!» E voltandosi si allontanò. Sandro la seguì senza troppa fretta.
«Evitiamo di ritrovarci al piano bar con loro, ok?» Propose Sergio.
«Richiesta ragionevole.» Disse Luis.
Nel frattempo altri ospiti continuavano a varcare la soglia del locale. Trascorse un'altra mezzora e Sandro aveva già assorbito convenevoli e cortesie a sufficienza, e assieme a Luis errava svogliato per la sala, tra papere starnazzanti, topi con le mani unte e le risate isteriche del festeggiato che rizzava la cresta ad ogni brindisi. Quel posto si stava facendo soffocante. Luis percepì il disagio dell'amico kiwi e lo invitò ad uscire, sulla riva dello stagno. Si sedettero su un'argine di fango. Dagli arbusti alle loro spalle proveniva l'ansimare ritmico di qualcuno che stava dando un senso alla serata, probabilmente con una delle colombe spogliarelliste.
«Dobbiamo partire, amico mio...» Esordì Luis. Sergio gli rivolse uno sguardo poco serio.
«Dico davvero. – Insistette il pettirosso. – Domani. Partiamo.»
«E dove andiamo?» Domandò il kiwi.
«Non ricordi? Abbiamo una missione da compiere... e dobbiamo portarla a termine se vogliamo divenire eroi, come lo fu Bart il tasso.»
Sergio continuava a rivolgergli lo stesso sguardo, poi sospirò, abbassò il becco e lo orientò verso lo stagno. La storia che gli aveva raccontato il vecchio gufo doveva aver bruciato quel poco di cervello che restava al suo amico pettirosso.
«Non ricordo nessuna missione... Credo che quelle tartine ti abbiano fatto male.»
«Io non le ho mangiate! – Gli ricordò Luis – Sei tu che ti ci sei sfondato. E comunque non c'è stato bisogno di accettare la missione... è stata la missione a scegliere noi! Siamo noi gli eroi di questa storia, non capisci? Spetta a me e a te compiere le grandi gesta che i lettori si aspettano da noi.»
Per enfatizzare ancora di più il discorso, Luis con un colpo di ali era saltato su un giunco, e adesso rivolgeva entrambe le ali verso il cielo. Probabilmente a quel punto si aspettava un commento, che però non giunse. Allora il pettirosso riprese: «Ma non capisci? Il tomo delle imprese di Bart! Dobbiamo recuperarlo! Quel libro rappresenta un sogno, un ideale... che ognuno di noi può divenire migliore! Tutti possono farlo, se ce l'ha fatta Bart! ...rifletti: chi è l'unico tasso che conosci?»
Sergio ruotò gli occhi e rispose: «Enzo, quello che vive nel tronco cavo vicino alla collina delle ginestre, passando il tempo a mangiare rane e guardare telenovelas.»
«Esatto! E cosa ha mai fatto di eccezionale Enzo?»
«Beh quando ero in classe al liceo con lui, parlava coi rutti.»
«Appunto! – Luis svolazzò di nuovo sulla riva dello stagno, affianco al suo amico kiwi. – Parlava coi rutti! I tassi parlando coi rutti, ecco cosa fanno! Se ce l'ha fatta un tasso, possiamo farcela anche noi! Era questo il senso del racconto di Wittie. Ne sono sicuro.»
Sergio si sollevò a fatica da terra, barcollando sulle sue zampe nodose. Luis fece un balzo indietro, intimorito, ma non smise di guardarlo con speranza. Era la stessa speranza con la quale il cane che ti riporta la ciabatta smozzicata si aspetta una carezza anziché un calcio. E infatti Sergio, che in un qualsiasi altro momento un calcio glielo avrebbe dato volentieri, in quell'istante preciso non se la sentì di affogare in un mare di pessimismo le pie illusioni coltivate dall'amico.
«E va bene. Ma fatti dire da Wittie da che parte si trova la casa del suo vecchio padrone. Io nel frattempo me ne torno nella mia tana, mi guardo un porno e me ne vado a dormire. Ci vediamo domani mattina.»
Luis non seppe trattenere l'entusiasmo. Corse in avanti e abbracciò il petto pennuto dell'amico, pigolando ringraziamenti incomprensibili tra lacrime di gioia. Poi si staccò, allargò un sorriso più ampio della sua stessa testa, e frullò via nel cielo. Sergio rimase lì. Sentiva che le falene che aveva ingoiato ancora gli svolazzavano nel gozzo. Rientrò nel locale proprio nel momento in cui Sebastiano veniva strapazzato sul palco da un paio di colombe lascive e molto professionali. A poca distanza il trio di nutrie faceva un tifo indecoroso, intonando cori talmente pecorecci che anche sugli spalti di uno stadio sarebbero considerati eccessivi. Seduto su un ciottolo levigato, Sandro salivava in abbondanza con le antenne protese. Teresa con il becco aperto e gli occhi spalancati sembrava morta stecchita, come se degli alieni le avessero rubato il cervello lasciando il corpo lì, in stasi temporale. Sai che affare – pensò Sergio – il cervello di Teresa. E si trascinò fuori da quel posto, senza preoccuparsi di salutare nessuno.

(vai all'inizio del racconto, oppure alla seconda parte, terza parte, quarta parte, oppure prosegui con la sesta parte)

Drizzit 95

Mi sono sempre chiesto in che modo si svilupperebbe l'economia di un paese se esistessero davvero gli avventurieri. Gente che emerge dai labirinti, dopo aver sconfitto draghi, con le braccia colme di tesori. Un pezzo del loro equipaggiamento vale quanto un castello (vedi la maglia di mithril di Bilbo nel Signore degli Anelli, che a detta di Gandalf vale più di tutta la Contea). Forse anche più di un astuto commerciante fiuterebbe l'affare, e probabilmente nascerebbe un intero mercato attorno a queste figure. Nessuno quando scrive romanzi fantasy sembra preoccuparsene.

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martedì, luglio 26, 2011

La matita e quel che ne esce


Ho un quaderno che riempio di scarabocchi. Un quaderno dalle pagine completamente bianche, senza righe, né quadretti, né altro. Come quelle piccole agende Moleskine, ma con molte più pagine, e un po' più grande. Me lo porto spesso appresso e quando ho un minuto, aspettando il treno alla stazione, o seduto su un muretto quando piove, lo tiro fuori e ci appunto frasi, pensieri... oppure lascio correre la matita e vedo cosa viene fuori. Mostri, orsacchiotti mutilati, ragazzini che corrono, paesaggi di fantasia.


All'inizio di quest'anno ho iniziato a disegnare Drizzit e le Questions, e adesso che ho una tavoletta grafica sto cercando di migliorare con quella, quindi quando sono a casa mi capita di rado di disegnare sul quaderno. La distanza fra un disegno e l'altro si è fatta più lunga. Ieri sera ho provato a fotografare alcuni disegni del quaderno per trasferirli nel mio Mac, ma per fare una cosa come si deve ci vorrebbe uno scanner e io non ce l'ho. Le foto dei disegni erano sfocate e di bassa qualità. Ho iniziato a giocare con i disegni, graffiandoli, sovrapponendo filtri, alterando il bilanciamento delle luci. La qualità non poteva peggiorare! ...ispirazione in mancanza di ispirazione. Come quando un bambino gioca coi cubi, e li compone a caso, nonostante ci sia un disegno. E' stato molto rilassante. Dovrei farlo più spesso.

lunedì, luglio 25, 2011

La Storia di Sergio e Luis (4a parte)

Come in tutte le favole che si rispetti, giunge il momento in cui, con un'abile digressione, l'autore ci svela il passato dei protagonisti. Anche per noi è giunto quel momento, cari bambini, e andiamo allora a scoprire insieme il passato di uno dei due eroi della nostra storia: il pettirosso Luis...


Luis era il terzo nato in una cova di otto. Sua madre Marie era alla settima nidiata, e difficilmente avrebbe potuto gestirne un'ottava, la prossima stagione. Marie aveva uno sguardo dolce e il suo fare era premuroso, tuttavia gli occhi velati da una stanchezza rendevano evidenti i suoi anni. Quando Luis nacque sfondando col cranio il guscio del proprio ovetto, le prime parole che udì furono quelle di suo padre Jean-pierre: «Non ti affaticare troppo, Marie... ne sono già nati tre, getta gli altri giù dal nido.»
I pettirossi hanno un'infanzia molto breve, una manciata di settimane. La breve infanzia di Luis fu segnata dallo spaventoso presagio di quello che sarebbe potuto succedere se avesse esitato ancora qualche minuto a nascere. La mangusta Seraphine, che ogni notte si appostava sotto l'albero di famiglia, doveva aver molto gradito il regalo che le avevano fatto mamma e papà pettirosso il giorno della nascita di Luis.
Nei giorni che seguirono alla schiusa delle tre uova vincitrici del concorso “lontano dalle fauci della mangusta” il giovanissimo Luis fu costretto a lottare disperatamente con i suoi fratelli per la sopravvivenza. Marie tornava di rado al nido, e il più delle volte quello che stringeva nel becco non era altro che un piccolo scarabeo, troppo lento per sfuggirle nonostante non avesse più i riflessi di una volta. Gli scarabei si sa, sono tutta coccia e poco cibo. I tre piccoli pettirossi allora si avventavano sull'insetto tentando di scavargli un buco nella corazza il più velocemente possibile, per arrivare a beccare la polpa prima degli altri. Dopo nemmeno una settimana, uno dei due fratelli maggiori di Luis ritenne più proficuo, anziché affannarsi beccare il ventre dello scarafaggio, eliminare fisicamente la concorrenza. Con le zampine ancora non del tutto irrobustite, Jerome afferrò Adrienne e lo scagliò giù dal nido. Luis assistette alla scena terrorizzato. Si sporse dal nido appena in tempo per scorgere Seraphine che si leccava i baffi.
Rimasti in due, Luis optò per una linea d'azione il più possibile diplomatica: da quel momento in poi Jerome avrebbe mangiato per primo, e lui si sarebbe accontentato degli avanzi.
«Che fine ha fatto Adrienne?» Chiese loro padre Jean-Pierre, che dopo cinque giorni aveva notato una certa assenza. Nessuno gli rispose, nemmeno Marie. «Beh cercate di sbrigarvi a crescere, voi due! – Riprese papà pettirosso. – Dobbiamo spostarci sulla riva del lago entro fine mese, o i rami migliori saranno già tutti occupati.»
Sole e luna si alternarono in cielo per un altro paio di lunghissime settimane. Luis era rimasto piccino e gracile, mangiava poco e il suo sonno era costellato di incubi. Al contrario Jerome era cresciuto forte e robusto. «Aspetta che mi crescano anche le piume timoniere, e ti farò vedere di cosa sarò capace!» Affermava quello, spiegando le ali ancora parzialmente implumi. Con le zampe dritte saltellava qua e là mimando il momento in cui il padre spiccava il volo. Luis sospirava, raschiando col becco le elitre dello scarafaggio che era stato la loro ultima cena. Ma in quell'istante un maestoso gheppio volò radente al loro ramo, sollevando foglie e pollini in un turbinio d'aria. Nonostante stesse mangiando, Luis ne intravide l'ombra mentre ancora si stava avvicinando: zompò verso il bordo del nido e alzò il becco al cielo mentre il falco sferzava l'aria con le sua ampie ali.
«Jerome hai visto! Era un gheppio! Un gheppio predatore! Meraviglioso!»
Ma Jerome non rispose. Il deficiente se ne stava ad ali aperte quando l'imponente rapace era passato, e il colpo d'aria l'aveva fatto volare giù dal ramo. Non appena Luis si rese conto di quello che era successo, abbassò lo sguardo. Seraphine già masticava il ghiotto pasto. Luis la salutò con un timido cenno dell'ala e un sorriso imbarazzato. Seraphine ricambiò con gli occhi, poi sparì tra le radici delle querce.
Due settimane dopo, Luis era pronto a spiccare il volo. Le piume erano al completo, e l'improvvisa scomparsa del fratello gli aveva garantito pasti lauti e abbondanti negli ultimi giorni. Si sentiva abbastanza in forze da tentare.
«E andiamo!» Gli gridò Jean-Pierre, dandogli una poderosa pedata sul sedere. Luis fu colto di sorpresa e iniziò precipitare di sotto. Già si vedeva in gola a Seraphine, sgranocchiato come tutti gli altri suoi fratelli. E invece pochi metri più in basso, con le punte delle ali colse la sua prima corrente. Come se una mano invisibile lo stesse sollevando si ritrovò a prendere quota, spinto dalla piacevole brezza che serpeggiava tra i fusti del bosco. Tese i muscoli e vibrò ripetuti colpi di penna, schizzando via oltre le fronde, a baciare la luce del sole che risplendeva alto nel cielo. In lontananza, azzurro in una conca tra le montagne dalle cime ancora innevate, scorse il lago di cui gli parlava suo padre.
«Andiamo papà!» Gridò a Jean-Pierre. Che già non era più suo papà, ma solo un pettirosso come gli altri. L'infanzia di Luis era finita.

(torna alla prima parte, seconda parte, terza parte, oppure prosegui con la quinta parte)

Drizzit 94

Ecco svelata la destinazione.

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sabato, luglio 23, 2011

La Storia di Sergio e Luis (3a parte)

Per tutti i bambini che la attendevano con trepidazione, ecco la terza (ma non ultima) parte della storia di Sergio e Luis. Chiedete alla vostra mamma di leggervela. Farà bene anche a lei.


«Diversi anni fa, quando vivevo ancora in casa del signor Knodeldome, mi capitò di ascoltare una singolare conversazione che ebbe con il suo cucciolo, un piccolo infante umano puzzolente e ancora molto inabile. Già da tempo avevo imparato a comprendere l'idioma umano, eppure nonostante le parole del signor Knodeldome mi fossero estremamente chiare, mi era ancora impossibile dare un senso a quel groviglio di rigurgiti e vocali strascinate che il cucciolo di umano utilizzava per comunicare. Il signor Knodeldome però non sembrava avere gli stessi miei problemi di comprensione, anzi era perfettamente in grado di conversare con il pargolo, tanto che spesso si produceva assieme a lui in complessi scambi di opinione laddove gli argomenti del piccolo umano venivano presi in seria considerazione. Ad ogni modo, quel giorno il signore Knodeldome e la rispettiva prole se ne stavano sul divano, lui seduto in posizione eretta, l'infante adagiato sulla schiena in modo che potesse agitare in aria le zampine, alla maniera degli stercorari quando vengono ribaltati. A quel punto il signore Knodeldome recuperò dal tavolino di fronte a sé un libro, e lo introdusse al cucciolo spiegando che tra le pagine di quel piccolo tomo era racchiusa nientemeno che la mirabolante storia di Bart il Tasso. Mosso anch'io da curiosità, allungai il collo in direzione del signor Knodeldome, cercando di non perdere nemmeno una parola della storia che era in procinto di narrare. Purtroppo il fato mi fu avverso. L'adulto genitore non ebbe il tempo di proferire altra frase se non un enigmatico “C'era una volta...”, ché il corpo dell'infante emise un breve ma esaustivo rumore e immediatamente un intenso odore simile a quello dei croccantini per gufi si diffuse nell'aria. Il signor Knodeldome allora lasciò andare il libro e afferrò il cucciolo da sotto le ascelle, poi trasportandolo penzoloni scomparve dalla mia vista. Quando tornò, diverse ore dopo, si limitò a raccogliere il libro e a infilarlo in una piega dello scaffale, dove rimase per tutto il tempo in cui io fui ospite di quella casa, custodendo per sempre il segreto della fantasmagorica storia di Bart il Tasso...»
Sergio e Luis avevano seguito le parole di Wittie con vivace interesse, deglutendo con nervosismo ad ogni colpo di scena. Purtroppo quando Wittie raccontava le cose, era solito sfoggiare quel gufesco forbito e farcito di termini complicati, come idioma o procinto, che né Sergio né Luis comprendevano appieno. Ma pazienza, il senso generale si capiva lo stesso, e le storie erano sempre molto appassionanti.
«Ma cos'era successo al piccolo? All fine è sopravvissuto?» Chiese Sergio, con una punta di preoccupazione.
«Sì, sì... – Lo tranquillizzò il gufo. – Il piccolo umano si è salvato, ma doveva essersi ferito gravemente perché in diverse occasioni successive ho avuto modo di notare un voluminoso bendaggio che gli avvolgeva il basso addome. Il poveretto ha dovuto sopportare quell'imbracatura per diversi mesi. Probabilmente deve aver sofferto molto per l'ingiuria di quel giorno.»
Sergio e Luis si scambiarono uno sguardo triste.
«E sei mai riuscito a scoprire cosa c'entrava la volta nominata all'inizio del racconto, con il resto della storia di Bart?» Volle sapere Luis.
«Non ne ho idea. – Ammise Wittie facendo spallucce. – Forse Bart, il Tasso leggendario, viveva in una tana al di sotto di un antico arco, e una volta di pietre faceva da cornice alle sue giornate. Ma è solo la strampalata ipotesi di un vecchio gufo...»
A quel punto Sergio saltò in piedi sulle zampe, e agitando il corpo intero si scosse di dosso la terra e il fogliame che gli erano rimasti tra le piume.
«Dove vai?» Gli domandò Luis, con uno sguardo incredulo.
«Io me ne vado a casa... la storia è finita, stasera c'è l'addio al celibato di Sebastiano e vorrei prima darmi una sistemata. E poi Wittie dovrà sicuramente andare a dormire.»
«Ma aspetta! Wittie non ci hai ancora ripetuto quella cosa che dicesti la scorsa settimana... Ti ricordi? Quella frase tipo... il vostro destino...»
«Oh oh oh! Quella frase!» Il gozzo del gufo sussultò sospinto dalle risate. Poi d'un tratto si fece serissimo. Sergio si immobilizzò, con gli occhi incollati sul volto ombroso del vecchio rapace. Wittie assottigliò lo sguardo, trasformando le sue iridi luccicanti i poco più che fessure, quindi si avvicinò, aggrottò le folte sopracciglia e spostando appena il grosso becco ricurvo disse:
«Solo voi potete decidere se la vostra storia merita di divenire un racconto per bambini!»
A quel punto il becco di Luis era così spalancato che nella sua gola era possibile scorgere le molliche di pane che aveva beccato prima dell'alba sulla sponda del lago. Le pupille del pettirosso brillavano di sogni e di speranze che andavano ben oltre la realtà. Eroe di un racconto per bambini, ecco cosa aveva sognato! La loro storia sarebbe potuta diventare leggendaria, come quella di Bart il Tasso. Di fronte al vecchio tronco, all'ombra del saggio gufo Wittgenstein e in compagna del suo coraggioso amico Sergio, Luis aveva finalmente realizzato quale sarebbe stato il suo futuro.

(torna alla prima parte, alla seconda parte oppure prosegui con la quarta parte)

venerdì, luglio 22, 2011

Tutti i sassolini nella scarpa di oggi


Il Fatto Quotidiano ha pubblicato uno studio inedito sulla nostra classe politica, condotto da Antonio Merlo, direttore del dipartimento di economia dell'università della Pennsylvania. Lo studio attesta, proponendosi addirittura di dimostrarlo con tanto di equazioni matematiche, che la classe politica italiana è la più vecchia, la più privilegiata, quella che lavora meno e la più ignorante al mondo.

Ringrazio il professor Merlo per aver provato l'ovvio. E' un po' come quando Newton seduto sotto un pero (o era un melo?) fu colpito da un frutto che gli cadde in testa, e da allora si prodigò a dimostrare l'esistenza della forza di gravità. Così narra la leggenda. La nostra classe politica fa schifo ed è sotto gli occhi di tutti. Sono persone non qualificate (ministri senza titoli né competenze nei loro campi d'azione, poltrone ottenute per premio, ex-veline e attorucoli sbattuti nelle liste e poi eletti solo perché attiravano voti, graziati dall'alto per la loro devozione ai signori del partito). Sono persone attaccate alle poltrone a vita nonostante possano ottenere pensioni da nababbi e vitalizi con una facilità vergognosa. Sono persone ignoranti che danno sfoggio della loro cafonaggine ovunque e senza pudore, perché sanno che la volgarità è spettacolo e chi più ostenta più ottiene. Sono persone che dovrebbero provare schifo a ritirare ogni mese sei volte lo stipendio di un impiegato statale con 30 anni di anzianità, lavorando un quarto (e non giudichiamo per favore la qualità del lavoro). Tutto questo è sotto gli occhi di tutti. Una mela che ci cade in testa ogni giorno. E noi, come Newton, cerchiamo di spiegarci come cazzo è possibile. Poi arriva il signor Merlo e ce lo spiega con la matematica. Ma io l'equazione già la conoscevo: opportunismo più egoismo al quadrato fratto interessi personali.

Breve rassegna stampa delle ultime ore: Renata Polverini prende l'elicottero per raggiungere la Sagra del Peperoncino alla quale è stata invitata, spendendo una decina di migliaia di euro quando la sanità nel Lazio potrebbe beneficiare con la stessa somma di centinaia di rotoli di carta igienica nei cessi degli ospedali, visto che ormai non ne hanno più e la gente è costretta a pulirsi il culo con i fazzoletti che si porta da casa; ovviamente il giornalista che le chiede che cazzo sta facendo, viene insultato. In Svezia ci sono ministri che si sono dimessi per aver fatto qualche euro di spesa con la carta di credito dello stato: hanno chiesto scusa perché quelli sono soldi di tutti, capito Renata? Vaffanculo te e i tagli agli sprechi (altra notizia di pochi giorni fa, il premier ha acquistato per se stesso e per gli spostamenti dei parlamentari due elicotteri a 50 milioni di euro).

D'Alema, dopo tutto quello che sta succedendo in parlamento, ha avuto il coraggio di dire che il Fatto Quotidiano è essenzialmente un quotidiano fascista. Ora, a me non me ne frega un cazzo del Fatto Quotidiano e non mi interessa difenderlo, ma D'Alema ogni volta che apre bocca sembra volermi ricordare di quanto è coglione. Ovviamente baffetto si riferisce al fatto che i giornalisti del Fatto sono determinati e spietati, e che fanno di tutto pur di dimostrare le loro tesi, senza guardare minimamente in faccia chi viene screditato dai fatti, perché -questa è la differenza tra un giornale fascista e uno non fascista- qui sono i fatti che buttano nella merda i politici, e non le opinioni. Le campagne di diffamazione sono caratteristica di ben altra stampa. Quelli de Il Fatto semplicemente fanno i giornalisti, cosa alla quale D'Alema così come qualsiasi altro politico in Italia deve essere poco abituato. Ma d'altro canto stiamo parlando del tizio al quale Vespa telefonava per "confezionargli" la trasmissione su misura. E vaffanculo anche a D'Alema.

Poi ci prendono per il culo, ci fanno le pubblicità apposta. Pam una mela in testa. Pam un'altra mela. Piovono mele. Ma gli italiani niente, continuano a dormire. Sapete che quando riaprirà l'anno scolastico non ci saranno i soldi nemmeno per pagare i presidi?
E continuano a dire che l'Italia è in crisi, che bisogna tagliare gli sprechi, l'austerità. Intanto 15 miliardi di euro per fare la TAV, non si sa quanti miliardi per il Ponte (fantasma) di Messina, e finanziamenti gonfiati ovunque, corruzione, cinquemila auto blu, soldi alle scuole e alle cliniche private, soldi all'istante per salvare le banche, finanziamenti a fondo perduto per le aziende in crisi anche se sono in crisi da cinquant'anni e i loro manager intascano milioni di euro al mese per non salvarle, appalti regalati ad amici che presentano bilanci gonfiati, prescrizione e scudi fiscali per chi ha frodato il fisco e dovrebbe restituirci i soldi. Di proposte per tirare su i miliardi ne ho a bizzeffe, ne abbiamo tutti noi a partire dal taglio dei privilegi e degli stipendi ai politici, che -è vero- non serve a niente, ma cazzo quanto sarebbe d'esempio. Cazzo, quanto sarebbe d'esempio.


giovedì, luglio 21, 2011

La Storia di Sergio e Luis (2a parte)

Seconda parte del mio racconto per bambini. Zuccheroso e cinico, tutto ciò di cui hanno bisogno per crescere forti e sani in questo paese. E ovviamente, non finisce qui.

Wittie non era il vero nome di quel vecchio gufo. Era solo un diminutivo, un nickname. Il suo vero nome era Wittgenstein ed era originario della terra di sopra. Secondo le voci più accreditate era stato portato in Nuova Zelanda da un ricco commerciante di bibite gassate, che lo teneva tutto il giorno immobile su un trespolo dandogli da mangiare dei croccantini maleodoranti che sapevano di cacca di piccione. Erano solo voci ma non perché Wittie fosse geloso del suo passato, anzi vi faceva spesso riferimento, ma gli animali del bosco hanno la memoria corta come la pipì di una farfalla, e quello che oggi gli racconti, domani è già una voce. Comunque pare che un giorno Wittgenstein si liberò dai legacci di cuoio, uscì dalla finestra e non tornò mai più dal suo padrone.
«Wittie? – Chiamò ad alta voce il pettirosso, bussando alla corteccia del vecchio albero dove il gufo soleva ripararsi durante le ore più luminose. – Sei in casa? Sei sveglio?»
Un rigirarsi di penne e piume proveniente dalla cavità del tronco fu per Luis una risposta sufficiente, perciò il pettirosso si avvicinò all'apertura semicircolare della casa di Wittie e sbirciò all'interno. Il grosso gufo se ne stava in piedi in fondo avvolto nelle sue piume brune. Luis riuscì a scorgere nel buio dell'incavo il bagliore dei suoi occhi, che riflettevano la luce del giorno come due grossi specchi circolari.
«Luis... sei tu? – Esclamò con voce roca l'imponente rapace, ed emise un breve sospiro di sollievo. – Temevo che fossero quelle teste di cazzo di scoiattoli... Sai cosa mi fanno? Quando sto per addormentarmi si affacciano e mi tirano addosso le ghiande, 'sti stronzi bastardi.»
«Wittie sei troppo buono... – lo rimproverò il pettirosso – i gufi di solito se li mangiano gli scoiattoli.»
«Che schifo non mi ci far pensare... sono dei grossi topi grigi... te lo immagini masticarne uno? Col pelo, i denti e tutto il resto... mi viene da vomitare solo a pensarci.»
Luis sorrise piegandosi in avanti. Era abituato a certi discorsi, ma ogni volta Wittie riusciva a farlo divertire. Avendo trascorso gran parte della sua vita su un trespolo, in casa di esseri umani, Wittie aveva visto e ascoltato cose che gli altri animali del bosco non potevano nemmeno immaginare, ed era una fonte inesauribile di curiosità, aneddoti e storie divertenti. Inoltre era stato abituato a non cacciare e a non mangiare animali vivi, per cui da quando era scappato si cibava solo di noci, frutta e radici. Inutile dire che le sue bizzarre abitudini alimentari erano fra gli uccelli rapaci del bosco un tremendo motivo di scherno, e se ne approfittavano anche quegli animali, come gli scoiattoli, che normalmente di un gufo dovrebbero avere un gran terrore.
Il pettirosso gli fece cenno di uscire e poi lo precedette saltando indietro su un ramo. Il gufo uscì dal tronco spalancando le maestose ali e svolazzando in alto per qualche metro fino ad adagiarsi di fianco al pettirosso.
«Dov'è Sergio?» Chiese.
«Sta arrivando. Avrà trovato traffico nel fosso.» Disse Luis.
«Come mai siete passati da queste parti?»
«Speravamo di trovarti ancora sveglio. A dirla tutta volevamo chiederti di spiegarci ancora quella cosa del racconto per bambini. Sai, martedì scorso avevo fumato pesante e né io né Sergio ci abbiamo capito granché. Ma credo che quella storia mi abbia colpito... più tardi a casa ho fatto un sogno strano... – Il pettirosso allargò le ali e le mosse davanti a sé descrivendo ampi cerchi. – C'eravamo io e Sergio, immersi in una nebbia fittissima... e poi una luce ci colpiva entrambi, e attraverso la luce io riuscivo a scorgere... una specie di coppa dorata.»
Wittie sbadigliò.
«Ehi ma mi stai ascoltando, vecchio rincoglionito?» Sbottò l'uccellino.
«Seeee seeee... la nebbia e la coppa dorata.» Lo canzonò il gufo.
«Ecco Sergio!» Esclamò Luis, indicandolo con l'ala. Poi si lasciò cadere dal ramo, e rapidamente planò verso il kiwi. Sergio già scuoteva la testa prima ancora che l'amico gli si posasse affianco.
«Scusate il ritardo, è che ho incontrato Teresa... mi sono dovuto fermare a salutare.»
«Ma chi? Teresa la svampita? Quella kiwi che ti viene dietro da quando hai preso casa nel canneto?»
«Perché, conosci un'altra Teresa?» Controbatté Sergio.
«E dagliela una ripassata, a quella!» Proruppe il pettirosso, sgomitando l'amico.
«Ma stai scherzando, vero? Teresa al posto del cervello ha un nido di vespe. Morte.»
«Però quando l'ho vista l'altra sera alla festa del cicogna, mi sembrava davvero ben fornita...»
Sergio sollevò gli occhi al cielo e passò oltre, ignorando il modo in cui Luis stava calibrando le ali per riprodurre le dimensioni del petto di Teresa. Wittie nel frattempo aveva socchiuso gli occhi. Era giorno e probabilmente si stava addormentando. Come tutti i gufi, anche Wittie lavorava di notte, e trascorreva le ore di luce a sonnecchiare sui rami. Sergio si avvicinò al tronco e lo colpì ripetutamente con la punta del becco. Toc toc toc. Wittie scosse la testa liberandosi dal torpore.
«Oh perdonatemi, sono un po' assonnato... è stata una nottataccia.» Tentò di scusarsi. Luis si portò le ali al becco e gridò forte: «Andiamo Wittie, vieni giù e parlaci di nuovo del racconto per bambini!»

mercoledì, luglio 20, 2011

Drizzit 93

Ho faticato molto a creare questa sequenza. Non è difficile realizzare gli sfondi multicolore, né le silhouette dei personaggi (l'uso dei filtri di photoshop in questi casi è di grandissimo aiuto). La difficoltà è stata più che altro dovuta a una certa stanchezza mentale. Questo per dire che a volte non è solo il rapporto tra complessità tecnica e bravura a determinare la qualità di un lavoro e il tempo che si impiega a farlo. Siamo tutti esseri umani.

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La Storia di Sergio e Luis (1a parte)

Volevo scrivere un racconto per bambini. Non credo che sia esattamente quel tipo di racconto che le mamme raccontano ai figli piccini per fargli prendere sonno. E' più tipo il racconto che ascolterei io, se avessi sei anni e poca voglia di dormire.


Aprì prima un occhio, poi l'altro. Il suo amico Luis era a pochi salti di distanza, e lo fissava sconsolato. Allora Sergio sollevò il becco da terra e sbuffò forte.
«Ma cazzo ancora non mi sono estinto!» Quindi agitò le ali atrofiche, nascoste sotto la sua nuvola di piume color fango. Luis non comprese. Si grattò il capo con l'ala destra e sollevò gli occhi al cielo.
«Ma chi te l'ha messa in testa questa stronzata che stai per estinguerti?»
Il kiwi si sollevò sulle zampe robuste e dondolò il lungo becco a stecco.
«E' una voce. Gira da qualche anno.»
«Beh non è un bel modo di cominciare un racconto per bambini, che si risveglia e constata con disappunto di non essere ancora morto.» Commentò il pettirosso.
«Guarda che io mica voglio morire. – Puntualizzò Sergio. – Io voglio estinguermi.»
Luis zompettò vicino a Sergio, che rispetto a lui era grosso dieci volte tanto, e senza dare troppo peso ai farfugliamenti dell'amico, gli raccolse un lombrico dal terreno soffice.
«E poi Luis basta con questa storia del racconto per bambini... Questa è la vita, non una delle favole di Wittie. Guardati adesso. Hai un verme in bocca. Nemmeno questo è bello, in un racconto per bambini. E poi abbiamo già detto un mucchio di parolacce, e le parolacce fanno incazzare le mamme.»
«Sta zitto e mangia!» Gli intimò Luis, tirandogli praticamente il lombrico in faccia. Sergio scosse la testa, facendo cadere il molle anellide su una delle sue zampe speronate. Con il becco lo afferrò e velocemente lo inghiottì.
«Adesso voglio un cappuccino.» Biascicò, mentre il lombrico gli scendeva nel ventriglio.
«Ma vaffanculo.» Gli rispose il pettirosso. Con un paio di balzi il suo piccolo volatile raggiunse l'apertura della tana. «Comunque hai ragione, c'è qualcosa che non quadra. Senti, è una fresca mattinata di autunno, andiamo da Wittie. Facciamoci rispiegare la questione del racconto per bambini. L'altra volta non l'ho capita benissimo, ma suonava interessante.» Il pettirosso gli fece cenno con la testa di seguirlo. Sergio era ancora intorpidito dal sonno e non gli andava di ascoltare le farneticazioni di quel vecchio gufo rincoglionito... e poi di prima mattina! Ma sapeva che Luis gli avrebbe rotto i coglioni fino alla morte, quindi sbuffando si mosse oltre la soglia.
«Buongiorno, Nuova Zelanda!» Esclamò ironico appena tirò fuori la testa da quel buco che chiamava casa. Il canneto di giunchi davanti a lui ondeggiava pacioso cullato da un leggero vento proveniente dal mare. Il bosco attorno scricchiolava lento, e un'odore di muschio si faceva largo tra i rami. Luis frullò rapidamente su un ramo in alto, distese le ali e si stiracchiò per bene.
«Sbrighiamoci, che altrimenti quello va a dormire.» Disse.
Sergio scosse la testa e si infilò nel canneto. Era facile per lui, gli bastava agitare le ali e si ritrovava tra i rami più alti del bosco. Sergio invece era costretto a strisciare nel fango, facendosi strada tra i cespugli, ché natura non gli aveva dato la fortuna di avere delle ali come ne avevano la maggior parte degli uccelli sulla terra. Quei due moncherini inutili, che teneva nascosti sotto le piume, erano tutto ciò che rimaneva dei due poderosi arti che i suoi antenati spiegavano per librarsi in volo nel cielo azzurro. Poi probabilmente doveva essere accaduto che un suo zio molto molto stupido disse: ehi a me piacciono i bacarozzi, posso scambiare queste ali con un bel becco lungo e delle rampe tozze? E qualcuno più in alto doveva averlo ascoltato. Stramaledetto zio idiota.
«Sergio sei ancora vivo, o sei affogato in un ruscello?» La voce di Luis pioveva dall'alto, oltre le foglie e le inflorescenze lanuginose delle canne. «Sono qui, sono qui. – Gli rispose il kiwi con voce un filo seccata. – Perché intanto non vai avanti e avverti Wittie che stiamo arrivando?»
«Occhei.» Disse il pettirosso, e volò via.

(prosegui con la seconda parte)

lunedì, luglio 18, 2011

Drizzit 92

Indubbiamente Drizzit ha un animo gentile, sviluppato in chissà quale misterioso momento della sua oscura e violenta esistenza. Quello che non può di certo avere, sono le conoscenze adatte a esprimere la sua quasi innata gentilezza. Chi gli ha mai insegnato a fare una carezza? Chi gli ha mai spiegato quali parole servono per consolare una persona? Probabilmente nessuno.

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sabato, luglio 16, 2011

Prove tecniche di luce

Ho scattato alcune foto per campi, con la luce che virava verso la fine del giorno, per vedere quali regolazioni della fotocamera erano migliori. Non sono granché come foto, ma valgono molto come esercizio. Ad esempio questa mora era in piena luce, e non è venuta male.

Questo è l'arcobaleno lasciato da un irrigatore su un campo di granoturco. Ho cercato di regolare la macchina per renderlo più visibile possibile, questo è il meglio che sono riuscito a fare...

Un paio di rose, fotografate controluce. Sono riuscito a regolare la macchinetta in modo che l'intera foto non venisse buia. Esaltando leggermente i colori in post-produzione lo scatto risulta quasi decente.

Una foglia di edera, su una rete, in pieno controsole. Volevo che si vedesse comunque la venatura della foglia, e ci sono riuscito. Non è stata una serata da buttare, dopotutto. Si comincia così, no?

Drizzit 91

Volevo concludere la settimana senza anticipare la destinazione del gruppo. Mi è sembrata una buona idea far discutere Wally e Katy attorno a una mappa. Il passato di Katy è come la borsa di Mary Poppins, potrebbe tirarci fuori qualsiasi cosa.

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venerdì, luglio 15, 2011

Drizzit 90

Mi ripropongo sempre di inserire più scene in cui Dotto elargisce le sue perle di filosofia nanica, ma poi vengo travolto da idee più pertinenti a quanto sta accadendo, e mi sembra spesso fuori luogo. Così, quando nella storia capitano dei momenti di relativa tranquillità, ne approfitto.

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giovedì, luglio 14, 2011

Come cade la luce sui gatti






Cercavo un modello per scattare qualche foto in piena luce. Devo fare pratica. Questa gattina si è avvicinata e si è offerta volontaria. Sono soddisfatto dei colori di queste foto. Forse posso cavarmela.

mercoledì, luglio 13, 2011

Il bambino della pioggia

Un altro racconto breve, ispirato dalla tormentosa calura estiva. Scriverlo ha avuto un illusorio effetto refrigerante, spero che leggerlo sortisca più o meno lo stesso effetto. Buona lettura.

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Il bambino della pioggia stava morendo. Il suo volto pallido colpito dal sole sembrava ardere come la superficie di una lampada alogena, ma con un'intensità dieci volte maggiore. Non stillava una goccia di sudore, il bambino della pioggia. Con i suoi occhi color cenere vagava nell'infinito azzurro del cielo estivo mendicando per un batuffolo di nuvole. Le labbra si muovevano appena, rosa e roventi, quasi a lasciar passare per compassione quel filo di voce che ripeteva incessantemente le stesse misere parole:

Ritorna, ombra del cosmo dalle lacrime altissime,
brezza che porta testimonianza delle terre all'orizzonte,
tumulto tra le nubi, bagliori remoti
che sussultano nel riflesso delle iridi,
respiro affannoso dei laghi cerulei che accarezza
il firmamento implorando il termine del tormento.

Trascorsero giorni. Il bambino della pioggia rimase immobile, bruciato, accartocciato. Le sue dita si erano trasformate in zeppi di legno, i suoi capelli in paglia, il suo corpo in pietre scistose spaccate dall'arsura. Il sole giallo si sollevava ogni giorno su di lui, maestoso allo zenith, rivolgendogli sguardi impietosi, poi si allontanava ammantandosi le spalle di rosso e concedendo alla terra assetata solo perle di rugiada.

Ritorna, ombra del cosmo dalle lacrime altissime,
brezza che porta testimonianza delle terre all'orizzonte,
tumulto tra le nubi, bagliori remoti...

Le parole scivolavano fuori dalla crepe sui sassi, dai muschi essiccati, dalle acque calde. Il bambino della pioggia non aveva mai smesso di pronunciarle, anche quando era diventato ghiaia, e poi polvere, e poi sabbia. La luce col tempo si fece più cupa, il cammino del sole si incurvò di lato palesando stanchezza, il suo volto fiero perse superbia. Inginocchiandosi oltre il profilo delle montagne striò il cielo di bianco, e prima di scomparire del tutto dipinse il suo lascito di toni vermigli. Nella notte si accavallarono echi rullanti. Lo sfavillio delle capocchie di spillo scomparve coperto dal nero.

Ritorna, ombra del cosmo dalle lacrime altissime...

Tra i mosaici di fango secco era ancora possibile udire la voce del bambino della pioggia. Quando nel cielo buio, in gran segreto, fu raccolta la prima goccia della stagione, questa si precipitò giù in terra per posarsi con un tocco nient'affatto grazioso sugli occhi induriti del bambino della pioggia. Scorse via tra le ciglia di aghi di abete, inumidendo gote cortecciose fino a sfiorare le radici dei grandi alberi. Poi ne seguirono altre, altre centinaia, altre migliaia, altre a milioni. Battendo sui tasti dei boschi, le gocce composero una malinconica sinfonia che le foglie sospese sui rami più alti riportarono con sublime fedeltà alle felci del sottobosco; e le felci fecero loro eco subito dopo, annunciando la pioggia all'erba del piano e ai licheni sulle pietre, giù fino alle ife assetate nascoste nel terreno.

Ritorna...

Il bambino della pioggia si sollevò in piedi, la brezza umida gli accarezzava i capelli e i lampi gli illuminavano gli occhi. L'avvicinarsi dei tuoni lo rese euforico, iniziò a saltare avvolto da spire d'acqua che esitavano a toccare terra. In un rombo distante sentì pronunciare il suo nome. Papà, disse. Protese una mano verso le nubi scure, celate nel buio. Un fulmine afferrò la sua mano. Sparì in un cono di atmosfera ionizzata, terrorizzando uno scoiattolo. Coprendosi di grigio, il bambino della pioggia si addormentò sereno. Quando il sole tornò a illuminare il mondo, pianse per la sua dipartita.

Drizzit 89

Mi hanno chiesto a che "classe" appartiene Katy, facendo riferimento alle regole dei Giochi di Ruolo, ma Katy non ha una classe! Così come non ce l'hanno Drizzit, Wally né Dotto. Sono i personaggi di una striscia a fumetti, non ho nessun interesse a classificarli secondo le regole dei Giochi Di Ruolo. E' vero, Drizzit si ispira a Drizzt Do'Urden che a sua volta è ispirato a un'ambientazione per Dungeons & Dragons. E' inevitabile quindi che io faccia riferimento di tanto in tanto ai Giochi di Ruolo per qualche battuta (e mi piace farlo), ma sto cercando di non rendere Drizzit un fumetto solo per esperti del settore, un fumetto di nicchia (come Dork Tower, ad esempio). Quello che si può dire è che Katy è una discreta spadaccina (semmai un giorno decidesse di sfoderare la spada, lo scoprirete), Dotto è un filosofo, Wally un guerriero del nord con tanti problemi e Drizzit è un elfo scuro disertore. Così mi piace.

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martedì, luglio 12, 2011

Lamento estivo


Fa talmente caldo già in questi giorni, che viene voglia di prendere la macchina solo per provare il sollievo dell'aria climatizzata spruzzata senza delicatezza sulla propria faccia. E siamo solo a luglio. Odio l'estate, la detesto. Non mi piace quasi nulla di questa stagione fastidiosa e sopravvalutata. Nemmeno le foto sembrano venire come vorrei... laddove il sole picchia forte il contrasto è elevato e non riesco a compensare bene (sono ancora una mezza pippa, lo ammetto).


Lo scorso weekend sono stato a Frattura, un paesino che è frazione di Scanno, in Abruzzo. Il posto è davvero stupendo. C'è un paese abbandonato, Frattura vecchia, mezzo inghiottito dalla vegetazione, che emerge in mezzo a un brullo paesaggio quasi da far-west. E' stato abbandonato dopo un terremoto, nel 1915, e ancora molti edifici sono in piedi, abbandonati. Lì e nei dintorni ho fatto parecchie foto, ma le migliori sono risultate quelle scattate nella valle dei laghi tra Scanno e Vallelago. Ecco qualche foto. Se volete saperne di più su questi posti cliccate qui.

lunedì, luglio 11, 2011

Drizzit 88

Quando ero al liceo e la mia prof di italiano mi dava da analizzare una poesia, io tiravo fuori cose incredibili. Collegamenti tra versi distanti, figure retoriche nascoste, significati alternativi di parole, assonanze aggiuntive. Poi però mi sfiorava sempre il dubbio: ma Leopardi tutte queste cose lo sapeva di avercele messe, oppure no? A volte certe scelte sono frutto di una inconsapevolezza genuina. Quando ho disegnato Katy per la prima volta ho pensato semplicemente che non c'era bisogno di farle delle tette enormi. Niente di più. Quello che Katy fa in questa vignetta è la stessa cosa che facevo io al liceo con le poesie di Leopardi.

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sabato, luglio 09, 2011

Drizzit 87

La questione è seria. Se uno non ci crede, come funziona?

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venerdì, luglio 08, 2011

Drizzit 86

Dovrei lavorare un po' di più sulla fisionomia dei volti. Non per migliorarla, bensì per semplificarla. Ci sono vignette, tipo le prime due di questa striscia, nelle quali i protagonisti sono inquadrati abbastanza da vicino da richiedere un livello di dettaglio maggiore dei volti. Dovrei decidere una volta per tutte se Katy ad esempio ha le guance piene e il mento squadrato, oppure se dotto ha il naso a patata, o che forma hanno gli occhi di Drizzit... e poi cercare di ridisegnare sempre gli stessi dettagli, in modo che il lettore possa riconoscere i personaggi anche se, per dire, cambiano il taglio di capelli. E' un obiettivo ambizioso per una striscia a fumetti, ma credo che si possa fare.

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giovedì, luglio 07, 2011

Drizzit 85

Non vi capita mai? A me capita spessissimo. Quando visito le case altrui. Il bagno è la stanza privata per eccellenza, altro che la camera da letto. Se entri in bagno in casa di qualcun altro, puoi decostruire la stanza pezzo per pezzo e ricostruire la personalità di chi abita in quella casa. Beh ovviamente nei limiti del ragionevole. Il fatto che il bagno di Baba Yaga abbia le pareti rosa è congruente al suo personaggio, così glamour e retrò, molto anni '80.

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mercoledì, luglio 06, 2011

Foto della prima Estate

Il Bacio - foto by Bigio (alcuni diritti riservati)

Ultimamente ho avuto più tempo per scattare foto. Il periodo che precede la calura estiva (quella vera, che scioglie l'asfalto, soffoca il respiro e appesantisce ogni movimento) è uno dei momenti migliori per scattare fotografie. La luce abbonda, la natura esplode di colori e vita, le giornate sono lunghe. Ho aggiunto un discreto numero di nuovi scatti al mio album su Flickr (vi invito a visitarlo se non l'avete già fatto). Sento di aver fatto il mio dovere, adesso per un po' mi dedicherò agli altri miei quindicimila hobby.

Drizzit 84

Con questa striscia si conclude la dodicesima settimana di Drizzit. Ho avuto qualche problema a posizionare i dialoghi, ma non volevo rinunciare a nessuna delle battute. Come già detto in precedenza, non è consueto né utile bruciare due battute nella stessa striscia, solitamente conviene creare due strisce e distribuirle una in ognuna, ma volevo che questa fosse in qualche modo speciale. I capelli di baba yaga hanno lo stesso colore di quelli di Jem delle Holograms (un cartone cult degli anni '80). Altra nota: le espressioni di Drizzit, Dotto e Katy nella seconda vignetta si sono quasi composte magicamente mentre le disegnavo, senza nessuna premeditazione.

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sabato, luglio 02, 2011

Alla mia più cara amica

Questo piccolo racconto "epistolare" mi è servito a fissare nero su bianco un paio di riflessioni che mi giravano in testa da qualche giorno. Se non le avessi inchiodate al foglio, chissà per quanto avrebbero continuato a girare. Buona lettura.


Pisa, 2 Settembre 1877

Cara Elisabetta,
Per un attimo sono riuscito a sentirvi ancora. La vostra voce ha tagliato il silenzio e mi ha attraversato completamente. Il vostro tono era tenue, il vostro timbro costante, tranne in alcuni momenti, in cui sembravate quasi gemere. Vi immaginavo abbassare la testa e stringere i pugni al petto nel tentativo di stritolare l'aria, o di ghermire quel tormentoso dolore con le vostre dita bianche e sottili.
Mi avete parlato di banalità, domandandomi ancora di come si tratteggia un volto, per ricavarne un buon ritratto. Mi piace illudermi che fosse un pretesto, una scusa per rivolgervi di nuovo a me, per cercare di capire quanto fossi lontano, dare un senso o meno ai vostri timori. Siete sempre stata portata per tutto, ma forse in tutta la vostra vita non avete mai intensamente voluto fare qualcosa. La pittura sarà la vostra strada, se lo credete, ma dovrete metterci l'anima o otterrete solo tele bagnate di colore, che il tempo seccherà come foglie in autunno, sbriciolandole senza rimorso, e nulla della vostra arte sopravviverà a voi stessa.
Sono stato al vostro gioco, vi ho spiegato da dove cominciare, come leggere la luce, in che modo inclinare il carboncino, quanta pressione dare al tratto e dov'è che questo meritava di essere sottolineato. Disegnare un volto significa saperlo guardare, mia cara Elisabetta, andare oltre le illusioni di simmetria, scorgerne le imperfezioni che è nostra abitudine ignorare. Non c'è bruttezza nelle storture, al contrario c'è ben poca poesia nei volti riprodotti con precisione geometrica. Lasciate la matematica a chi in questa vita vuole trovare risposte, e procuratevi invece più domande possibile. Ogni ruga, ogni efelide, ogni sottile piega che accarezza la forma degli occhi o che dimostra il un cedimento delle labbra, voi dovete annotarla sulla tela come fosse un mistero, ogni tratto che cade dalla vostra mano sulla tela deve risultare come un quesito senza risposta. Di queste cose ho avuto il piacere di parlarvi, e voi mi ascoltavate, o almeno così mi piace immaginare, proprio come quando sedevate vicino a me, sul tavolo di ferro del vostro giardino, cercando maldestramente di imitare i movimenti della mia mano. Di quelle gioie ho ancora memoria, ancor di più ora che si sono rivelate la radice di una vostra passione.
Poi avete voluto cogliere l'occasione per chiedermi dell'altro, da qui il mio sospetto che di consigli voi non avesse affatto bisogno. Non da me, non sulle tecniche della pittura. Mi avete chiesto del mio dolore, del mio vivere, del mio respirare ancora. L'unica mia risposta è stata il silenzio, e di tutte le mie risposte è stata la più appropriata. Avrei potuto spiegare, ma so che voi Elisabetta mal sopportate il peso delle responsabilità, ché già molte gravano il vostro corpo al punto da schiacciarvi spesso a letto. Ora non siamo più vicini, Elisabetta. Avete voluto separarmi da voi, allontanarmi. Forse colpa del vostro male, forse colpa del vostro istinto. Alle mie lettere non davate alcuna risposta, tranne in rari casi, e in quelle occasioni la vostra penna risultava stanca, vaga e rapida. Numerose volte mi sono ritrovato a passeggiare lungo le rive dell'Arno, da solo, coltivando in cuor mio la speranza di incontrarvi per caso. I più vari impegni mondani vi tenevano lontana le poche volte che avevo l'ardire di disturbarvi per chiedervi di unirvi a me per una colazione, in mattinata, o per un the, nel tardo pomeriggio. L'amicizia solenne che ci lega, Elisabetta, si nutre di ben altro che di pianti accorati rovesciati su lucidi marmi una volta ogni due, o tre mesi. Se scorgermi in una foto per voi è sufficiente a sentirvi a me vicina, sappiate che per me non è lo stesso. Credevo di aver trovato in voi una confidente, una persona cara alla quale poter narrare i miei capricci, qualcuno che avrebbe compreso, oppure no, ma che avrebbe condiviso, questo sì, le mie preoccupazioni, le mie ansie, le mie gioie, le mie soddisfazioni. Così è stato, ora non più. Non mi appartiene il rispondere ai quesiti, alle accorate richieste di spiegazioni che mi giungono sporadiche, lontane l'una dall'altra sia nel tempo che nello spazio. Cosa ho fatto, dove sono, cosa sono adesso, tutto questo è come chiuso a chiave nel mio cuore e se fossimo ancora vicini come un tempo, non esiterei un minuto a farvi dono della chiave. Vorrei vedervi sorridere per le mie battute e arrabbiarvi per il mio cinismo, com'era quando il tempo non sembrava essere avaro di momenti per noi. Sebbene i ricordi di quei momenti siano per me più luminosi del sole d'estate, il recuperarli mi reca tormento, e mi induce inevitabilmente a constatare la distanza che ci separa. Tutto questo avrei voluto dirvi, anziché ricambiare le vostre domande con muto silenzio. Ma non l'ho fatto, vi sareste arrabbiata, lo so. Avreste gridato che non è colpa vostra, che è colpa mia. Altre lacrime sul marmo. Meglio allora il silenzio.
Ma allora, mia dolce Elisabetta, amica di una vita, non osate più mostrarvi innanzi a me come se fossimo ancora inseparabili. Nello spirito lo saremo sempre, lo sapete, ma i segreti della mia esistenza ormai mi appartengono. Non tornate più sulla mia lapide. Lasciatemi sognare di scrivervi lettere come se voi poteste riceverle. Voi che mi avete voluto morto, lontano dalle vostre preoccupazioni, non venite a chiedermi di esservi ancora vicino. Non posso più.
Adesso siamo distanti.

Drizzit 83

Mi piace il tempismo di questa striscia. La mano di Wally che aleggia mentre la vecchina farfuglia. E poi l'espressione di Drizzit. Quei biscotti sembrano savoiardi, ma non volevo che lo sembrassero.

Striscia precedente; Striscia successivaLeggi Drizzit dall'inizio

venerdì, luglio 01, 2011

A chi ci difende veramente

"Di fronte agli spiacevolissimi avvenimenti di questa mattina esprimo molta amarezza ma sottolineo anche che nel movimento No Tav ci sono anche frange violente. Negarlo significa assolverli, dopodiché , riduzione dell'impatto sì, bloccare quei cantieri no. Nel confronto si poteva far meglio, bisogna far di più, ma non possiamo consentire l'idea che il processo venga bloccato da iniziative prese da una frangia limitata di persone".

Queste le parole di Pierluigi Bersani. Vaffanculo, Bersani.

Le forze dell'ordine hanno difeso gli interessi dei pochi (dei ricchi) e oltraggiato le persone che avrebbero dovuto difendere (il popolo, i cittadini, quelli come loro). Non è vero che gli italiani vogliono la TAV, si tratta di una decisione del governo sulla base di accordi economici. In tutta Italia la maggior parte della gente se ne frega se un treno fra 20 anni potrà attraversare le alpi a 300 all'ora. La maggior parte della gente, se potesse scegliere come investire una cifra compresa tra i 17 e i 27 miliardi di euro (MILIARDI di euro, questo il costo della TAV per noi italiani) sicuramente avrebbe altre priorità. I carabinieri o le altre forze inviate sul posto per manganellare chi rappresenta davvero l'Italia non riescono a capire (o non vogliono farlo) che seguendo gli ordini non fanno altro che tradire i propri giuramenti, e tanti onesti cittadini sono costretti a prendersi i lacrimogeni in faccia e a sentire le ossa del proprio cranio spaccarsi, pur di far valere i loro (i nostri) diritti. Io non sono contro i carabinieri. Come diceva Pasolini, loro sono poveri cristi esattamente come quelli a cui spaccano la faccia a manganellate, anzi forse ancora più poveri. Quello che sta succedendo in Val di Susa è scandaloso.
Le persone, i cittadini qualunque che stanno protestando pacificamente e che vengono allontanati dalle loro terre con la forza, hanno tutta la mia solidarietà.

PS La foto è una mia elaborazione, ma è presa dalla pagina facebook di Francesco Guccini. E' una foto di quello che sta accadendo, non di repertorio. Tutti i diritti sono dell'autore.