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lunedì, marzo 12, 2012

D'accordo con Fiorella

Seguo i post di Fiorella Mannoia sia su Twitter che su Facebook. Qualche giorno fa, in relazione agli eventi in Val di Susa, ha postato questo commento:

Allora io dico: siamo in crisi, almeno così dicono, si tagliano le pensioni, i servizi sociali, il sostegno ai disabili, non c'è una lira da investire sulla ricerca, la scuol pubblica è abbandonata a se stessa, non ci sono insegnanti di sostegno, e comunque non abbastanza, il paese è fermo, immobile, senza uno straccio di speranza per il futuro, almeno per ora, i nostro patrimonio artistico cade a pezzi, si tagliano fondi alla cultura (brutto segno!) l'Aquila è diventata un'altra Pompei, come avevamo tutti sospettato e nessuno fa una previsione su quando come e se partirà uno straccio di ricostruzione., la pressione fiscale non accenna a diminuire, la corruzione dilaga, i comuni non hanno più una lira e i servizi sono quello che sono, la Polizia di stato non ha più neanche i soldi per mettere la benzina sulle auto che spesso versano in condizioni pietose nei garage. Ci sono interi quartieri ad alto rischio di criminalità che non hanno nemmeno un posto di Polizia nè un pronto soccorso, abbiamo una una rete ferroviaria che, a parte il Freccia Rossa è da terzo mondo, treni interregionali che non arrivano, sporchi, affollati ....potrei continuare, ma mi fermo qui. Sarà che sono una donna e quindi pragmatica, e sarà che le donne hanno sempre avuto il ruolo di far quadrare i conti familiari, ma la cosa più elementare che una madre di famiglia, di quelle all'antica, fa per far quadrare i conti quando la famiglia è in crisi è TAGLIARE LE SPESE CHE NON SERVONO. A che cosa cacchio ci serve la TAV Torino Lione, quando il resto del paese da Roma in giù non ha nemmeno i treni? E penso alla Basilicata, alla Sicilia, alla Calabria e quelli che ci sono somigliano più a carri bestiame che vagoni? Quando non riesce a finire un tratto di autostrada da quarant'anni sulla Salerno Reggio??. È urgente? NO! È indispensabile? NO! Allora che cacchio la facciamo a fare??? Non potremmo utilizzare quel denaro per opere più necessarie in un momento come questo? O dobbiamo pensare che la lunga mano dell'inciucio sia arrivato anche in Val Di Susa??? Non è così vero??????

Non posso essere più d'accordo. Mi sono sempre domandato: ma se ai cittadini, a tutti i cittadini italiani non solo quelli della Val di Susa, fosse chiesto se è il caso di impegnare miliardi di euro negli anni a venire per costruire una ferrovia ad alta velocità, anziché indirizzarli alle scuole, alla costruzione di nuovi ospedali, al sostegno dei disabili, alla ricerca scientifica, all'edilizia popolare... secondo voi, cosa risponderebbero i cittadini? Farebbero la TAV?
Ovviamente no. E questo ci conduce a un'altra questione, immediatamente correlata. Chi è che davvero ci rappresenta? Voglio dire, se destra e centro e sinistra vogliono la TAV, mentre l'Italia intera ritiene che esistono milioni di altri modi per spendere il denaro pubblico, chi è che dà voce al cittadino?

L'altro giorno guardavo Servizio Pubblico e Maurizio Belpietro, con la solita faccia da culo (scusate il francesismo) si è rivolto ai cittadini che protestavano dicendo loro: ma voi li avete votati, questi che stanno al governo! Il suo ragionamento, sulla carta, non faceva una piega. La TAV è un'opera legittimata da questo governo e da tutti i precedenti, i quali sono stati legittimati a loro volta dal voto popolare. Quindi la colpa se si fa la TAV di chi è, se non di coloro che adesso stanno protestando?

Ma Belpietro, così come tutti gli altri giornalisti faccia da culo (scusate non trovo un termine più appropriato per certa gente) dimenticano una cosa fondamentale. Che grazie a loro, e alla classe politica attuale e precedente, la politica in Italia si è sempre più involuta, trasformandosi negli ultimi decenni in una grottesca parodia del bipolarismo all'americana. In pratica, tra stronzate come "il voto utile" e "governabilità" ci viene fatta passare da anni l'idea che il modello ideale di politica è quella bipolare: destra o sinistra. Anzi, centrodestra o centrosinistra. Anzi meglio ancora: o di qua o di là. Stai con noi, o stai contro. E sempre più ci siamo avvicinati a quel modello.

Il risultato? Beh il risultato è quello che Beppe Grillo denuncia da anni (e Beppe Grillo secondo me non ha sempre ragione, ma su questo è stato profetico): farci votare la merda meno fumante. Cioè votare la "meno peggio" tra due alternative. E' proprio questo che hanno fatto gli italiani nelle ultime dieci votazioni: hanno votato l'alternativa migliore. Non hanno votato chi poteva rappresentarli meglio, hanno votato che la pensava meno distante dal loro pensiero. Il meno schifoso.

Ecco allora perché né Belpietro, né chiunque altro, dovrebbe permettersi di denigrare le proteste adducendo come motivazione il fatto che la TAV è stata approvata da un governo votato proprio dai protestanti. Perché io credo, e lo credo fortemente, che anche se fra i protestanti ci fosse gente che ha votato per i politici che hanno approvato il progetto TAV, si è trattato di gente che li ha votati NONOSTANTE questi politici fossero favorevoli alla TAV, e non perché erano favorevoli. Fa una bella differenza, e dovrebbe farci riflettere su tante altre cose.

venerdì, luglio 22, 2011

Tutti i sassolini nella scarpa di oggi


Il Fatto Quotidiano ha pubblicato uno studio inedito sulla nostra classe politica, condotto da Antonio Merlo, direttore del dipartimento di economia dell'università della Pennsylvania. Lo studio attesta, proponendosi addirittura di dimostrarlo con tanto di equazioni matematiche, che la classe politica italiana è la più vecchia, la più privilegiata, quella che lavora meno e la più ignorante al mondo.

Ringrazio il professor Merlo per aver provato l'ovvio. E' un po' come quando Newton seduto sotto un pero (o era un melo?) fu colpito da un frutto che gli cadde in testa, e da allora si prodigò a dimostrare l'esistenza della forza di gravità. Così narra la leggenda. La nostra classe politica fa schifo ed è sotto gli occhi di tutti. Sono persone non qualificate (ministri senza titoli né competenze nei loro campi d'azione, poltrone ottenute per premio, ex-veline e attorucoli sbattuti nelle liste e poi eletti solo perché attiravano voti, graziati dall'alto per la loro devozione ai signori del partito). Sono persone attaccate alle poltrone a vita nonostante possano ottenere pensioni da nababbi e vitalizi con una facilità vergognosa. Sono persone ignoranti che danno sfoggio della loro cafonaggine ovunque e senza pudore, perché sanno che la volgarità è spettacolo e chi più ostenta più ottiene. Sono persone che dovrebbero provare schifo a ritirare ogni mese sei volte lo stipendio di un impiegato statale con 30 anni di anzianità, lavorando un quarto (e non giudichiamo per favore la qualità del lavoro). Tutto questo è sotto gli occhi di tutti. Una mela che ci cade in testa ogni giorno. E noi, come Newton, cerchiamo di spiegarci come cazzo è possibile. Poi arriva il signor Merlo e ce lo spiega con la matematica. Ma io l'equazione già la conoscevo: opportunismo più egoismo al quadrato fratto interessi personali.

Breve rassegna stampa delle ultime ore: Renata Polverini prende l'elicottero per raggiungere la Sagra del Peperoncino alla quale è stata invitata, spendendo una decina di migliaia di euro quando la sanità nel Lazio potrebbe beneficiare con la stessa somma di centinaia di rotoli di carta igienica nei cessi degli ospedali, visto che ormai non ne hanno più e la gente è costretta a pulirsi il culo con i fazzoletti che si porta da casa; ovviamente il giornalista che le chiede che cazzo sta facendo, viene insultato. In Svezia ci sono ministri che si sono dimessi per aver fatto qualche euro di spesa con la carta di credito dello stato: hanno chiesto scusa perché quelli sono soldi di tutti, capito Renata? Vaffanculo te e i tagli agli sprechi (altra notizia di pochi giorni fa, il premier ha acquistato per se stesso e per gli spostamenti dei parlamentari due elicotteri a 50 milioni di euro).

D'Alema, dopo tutto quello che sta succedendo in parlamento, ha avuto il coraggio di dire che il Fatto Quotidiano è essenzialmente un quotidiano fascista. Ora, a me non me ne frega un cazzo del Fatto Quotidiano e non mi interessa difenderlo, ma D'Alema ogni volta che apre bocca sembra volermi ricordare di quanto è coglione. Ovviamente baffetto si riferisce al fatto che i giornalisti del Fatto sono determinati e spietati, e che fanno di tutto pur di dimostrare le loro tesi, senza guardare minimamente in faccia chi viene screditato dai fatti, perché -questa è la differenza tra un giornale fascista e uno non fascista- qui sono i fatti che buttano nella merda i politici, e non le opinioni. Le campagne di diffamazione sono caratteristica di ben altra stampa. Quelli de Il Fatto semplicemente fanno i giornalisti, cosa alla quale D'Alema così come qualsiasi altro politico in Italia deve essere poco abituato. Ma d'altro canto stiamo parlando del tizio al quale Vespa telefonava per "confezionargli" la trasmissione su misura. E vaffanculo anche a D'Alema.

Poi ci prendono per il culo, ci fanno le pubblicità apposta. Pam una mela in testa. Pam un'altra mela. Piovono mele. Ma gli italiani niente, continuano a dormire. Sapete che quando riaprirà l'anno scolastico non ci saranno i soldi nemmeno per pagare i presidi?
E continuano a dire che l'Italia è in crisi, che bisogna tagliare gli sprechi, l'austerità. Intanto 15 miliardi di euro per fare la TAV, non si sa quanti miliardi per il Ponte (fantasma) di Messina, e finanziamenti gonfiati ovunque, corruzione, cinquemila auto blu, soldi alle scuole e alle cliniche private, soldi all'istante per salvare le banche, finanziamenti a fondo perduto per le aziende in crisi anche se sono in crisi da cinquant'anni e i loro manager intascano milioni di euro al mese per non salvarle, appalti regalati ad amici che presentano bilanci gonfiati, prescrizione e scudi fiscali per chi ha frodato il fisco e dovrebbe restituirci i soldi. Di proposte per tirare su i miliardi ne ho a bizzeffe, ne abbiamo tutti noi a partire dal taglio dei privilegi e degli stipendi ai politici, che -è vero- non serve a niente, ma cazzo quanto sarebbe d'esempio. Cazzo, quanto sarebbe d'esempio.


venerdì, luglio 01, 2011

A chi ci difende veramente

"Di fronte agli spiacevolissimi avvenimenti di questa mattina esprimo molta amarezza ma sottolineo anche che nel movimento No Tav ci sono anche frange violente. Negarlo significa assolverli, dopodiché , riduzione dell'impatto sì, bloccare quei cantieri no. Nel confronto si poteva far meglio, bisogna far di più, ma non possiamo consentire l'idea che il processo venga bloccato da iniziative prese da una frangia limitata di persone".

Queste le parole di Pierluigi Bersani. Vaffanculo, Bersani.

Le forze dell'ordine hanno difeso gli interessi dei pochi (dei ricchi) e oltraggiato le persone che avrebbero dovuto difendere (il popolo, i cittadini, quelli come loro). Non è vero che gli italiani vogliono la TAV, si tratta di una decisione del governo sulla base di accordi economici. In tutta Italia la maggior parte della gente se ne frega se un treno fra 20 anni potrà attraversare le alpi a 300 all'ora. La maggior parte della gente, se potesse scegliere come investire una cifra compresa tra i 17 e i 27 miliardi di euro (MILIARDI di euro, questo il costo della TAV per noi italiani) sicuramente avrebbe altre priorità. I carabinieri o le altre forze inviate sul posto per manganellare chi rappresenta davvero l'Italia non riescono a capire (o non vogliono farlo) che seguendo gli ordini non fanno altro che tradire i propri giuramenti, e tanti onesti cittadini sono costretti a prendersi i lacrimogeni in faccia e a sentire le ossa del proprio cranio spaccarsi, pur di far valere i loro (i nostri) diritti. Io non sono contro i carabinieri. Come diceva Pasolini, loro sono poveri cristi esattamente come quelli a cui spaccano la faccia a manganellate, anzi forse ancora più poveri. Quello che sta succedendo in Val di Susa è scandaloso.
Le persone, i cittadini qualunque che stanno protestando pacificamente e che vengono allontanati dalle loro terre con la forza, hanno tutta la mia solidarietà.

PS La foto è una mia elaborazione, ma è presa dalla pagina facebook di Francesco Guccini. E' una foto di quello che sta accadendo, non di repertorio. Tutti i diritti sono dell'autore.

venerdì, febbraio 25, 2011

Siamo noi i barbari?

Quella che vi posto di seguito è una lunga ma interessantissima riflessione di Mauro Volpi (costituzionalista e consigliere del Csm) sul degrado dei costumi e della società civile italiana. Mi rendo conto che si tratta di molte righe, ma vi consiglio di leggerlo.

Comincia a farsi strada nella cultura italiana, dopo aver molto insistito sulle derive del potere politico e delle modalità del suo esercizio, l’esigenza di interrogarsi sullo stato della “società civile” nel nostro paese. [...] La mia risposta questo interrogativo è che in Italia vi sono non da oggi svariati segni di imbarbarimento e di degrado. Il degrado è economico, sociale, valoriale, etico, culturale, civile e politico.

Cominciamo dal primo, il degrado economico. [...] Come scrive Francesco Marsico, in Italia dai dati Istat relativi al 2008 risulta che il numero di famiglie situate al di sotto della “povertà relativa” è l’11,3% del totale, mentre quelle che vivono in condizioni di “povertà assoluta” sono 1.226.000, pari al 4,9% della popolazione. Dai dati forniti dalla Banca d’Italia relativi al dicembre 2009 risulta che il 10% degli italiani detiene il 44% della ricchezza nazionale, mentre di questa solo il 10% spetta alla metà meno abbiente della popolazione. Altro prodotto di quel modello di sviluppo è la precarizzazione del lavoro che assume tre aspetti, tra loro connessi. Il primo è quello di una nuova mercificazione del lavoro, che pregiudica le garanzie (a cominciare dalla sicurezza, visto che l’Italia è tra i primi paesi in Europa per numero di infortuni mortali sul lavoro) e i diritti dei lavoratori (come il diritto di sciopero e quello di scegliere i propri rappresentanti sindacali all’interno del luogo di lavoro). Il secondo è quello della disoccupazione, che colpisce tutte le fasce di età, ma in Italia è particolarmente drammatica per i giovani, tra i quali raggiunge una percentuale ormai vicina al 30%. Infine vi è la precarietà del lavoro, che spesso è solo un lungo e tormentoso passaggio verso la disoccupazione e frustra qualsiasi possibilità per i giovani di costruirsi un futuro.

Il degrado sociale consiste non solo nel peggioramento delle condizioni di vita di ampi strati della società, ma anche nella perdita (o nella debolezza) di riferimenti di tipo collettivo. Esso sfocia spesso nell’individualismo, che è cosa ben diversa dal “personalismo”, al quale si ispira l’art. 2 della Costituzione, in quanto tende a sacrificare la dimensione sociale della persona a vantaggio di una posizione di isolamento e di chiusura verso gli “altri”, posizione che porta talvolta a confondere la propria libertà con l’arbitrio e con la sopraffazione nei confronti delle altre persone. Altri aspetti del degrado sociale sono l’esaltazione del corporativismo, accentuato in Italia dal ruolo fondamentale giocato storicamente dalle corporazioni e dalle “caste”, e del familismo, che determina una promozione sociale in gran parte basata sul legame parentale. [...]

Il degrado valoriale deriva innanzitutto dallo smarrimento della memoria storica, senza la quale un popolo non può avere futuro. [...] Così alla vigilia del centocinquantesimo anniversario dell’unità nazionale si sono manifestati rigurgiti nordisti da un lato e nostalgie borboniche dall’altro, accomunati da un comune sentimento anti-unitario. A sua volta la Resistenza è stata equiparata al fascismo, come se le ragioni di chi lottava per la libertà e la liberazione nazionale fossero le stesse di chi difendeva un regime autoritario e combatteva insieme all’esercito tedesco al servizio del nazismo. [...]
Allo smarrimento della memoria si accompagna la perdita di valori di riferimento. A proposito di questa i vertici della Chiesa cattolica hanno individuato nel “relativismo” il male epocale delle società occidentali. Qui pare opportuno richiamare le parole di Gustavo Zagrebelsky, secondo le quali “la democrazia è relativistica, non assolutistica”, nel senso che “non ha fedi o valori assoluti da difendere, a eccezione di quelli sui quali essa stessa si basa”. Quindi essa non può essere relativistica “sulle questioni di principio, quelle che riguardano il rispetto dell’uguale dignità di tutti gli essere umani e dei diritti che ne conseguono e il rispetto dell’uguale partecipazione alla vita politica e delle procedure relative”. Ebbene, proprio questi sono i valori che vengono ad essere messi in discussione. Quale rispetto vi è per la dignità e per i diritti degli immigrati, considerati non come esseri umani, ma come braccia da lavoro da sfruttare o “carne da macello” da respingere versi i campi di concentramento del deserto libico? E dei giovani, disoccupati o precari malpagati, comunque privati del proprio futuro? E delle donne, umiliate, offese e viste non come persone in sé, ma, per usare le parole del Presidente del Consiglio (pronunciate nel settembre 2010 in una conferenza-stampa con Zapatero), come “il più grande regalo di Dio all’uomo”? E degli omosessuali, considerati come dei “diversi” da colpire o dei malati da curare? E poi quanto è garantita la uguale partecipazione alla vita politica dalla struttura personalistica e oligarchica del sistema politico e da un sistema elettorale, che, dietro il mito dell’elezione diretta del Governo, trasforma gli elettori in soggetti muti chiamati a ratificare le scelte imposte dall’alto? In pratica viene pregiudicata la libertà degli elettori [...]. Ebbene, il popolo italiano può scegliere un partito e dare il potere al capo di una coalizione di maggioranza relativa, che ottiene la maggioranza dei seggi grazie ad un assurdo premio inesistente nelle altre democrazie, ma non è libero di scegliere i propri rappresentanti.

Altrettanto evidente è il degrado etico che si è diffuso nella società grazie alla propaganda, veicolata dai mezzi di comunicazione di massa, di un modello di vita basato sulla ricerca del successo ad ogni costo e del guadagno facile, nel quadro di una feroce competizione con gli altri e del sacrificio di ogni visione solidaristica. Non c’è da stupirsi se perfino l’idea di “utilizzare” il proprio corpo per fare carriera (che significa svendere la propria dignità) sia stata giustificata da un esponente politico di primo piano del centro-destra, attualmente sottosegretario al ministero dell’istruzione [...]. E se di fronte ad una giovane precaria il Presidente del Consiglio nel marzo del 2008 non abbia trovato di meglio che invitare le giovani donne a sposarsi con rampolli di ricche famiglie.

Il degrado culturale appare evidente all’interno della scuola e dell’università, cioè dei luoghi deputati alla trasmissione del sapere e alla formazione delle nuove generazioni, all’interno dei quali si tenta di imporre una concezione mercantilistica della istruzione. Basti pensare alle tre “famose” i (internet, inglese, impresa), poste a fondamento dell’educazione pubblica nelle scuole dall’ex ministro Moratti [...]. Si potrebbe ironizzare sul fatto che chi ci governa ha volutamente dimenticato la “i” più importante, l’italiano, inteso come l’insieme della cultura di base, letteraria, storica, filosofica, giuridica, scientifica, che fa di noi un popolo. Ma in realtà viene ad essere mortificato il ruolo fondamentale della scuola e dell’università di trasmissione della cultura e di sviluppo della ricerca di base, che è indispensabile anche per un’utilizzazione corretta e proficua dei nuovi strumenti tecnologici. [...] Il degrado culturale deriva anche dall’uso che viene fatto dei mezzi di comunicazione di massa. In passato la televisione ha svolto un ruolo innegabile nella diffusione della lingua e della cultura nel popolo italiano; oggi contribuisce fortemente alla sua diseducazione, configurandosi come un modello di “cattiva maestra”, per usare l’espressione di Popper, e propagando una video-politica che trasforma il cittadino in homo videns (come sottolinea Sartori), non più partecipe ma succube, specie quando la televisione rappresenta per svariati milioni di persone l’unica fonte di informazione. Inoltre l’infima qualità della grande maggioranza dei programmi televisivi veicola un modello di vita edonistico e consumistico, producendo un ribaltamento tra fiction, posta al centro dell’attenzione, e realtà, trascurata e relegata in secondo piano.

Il degrado civile si manifesta nello scarso rispetto per le regole di qualsiasi natura, da quelle di costume a quelle etiche a quelle giuridiche. L’inosservanza di elementari regole etiche e di correttezza da parte di uomini pubblici viene relegata nel gossip. Le violazioni della legalità sono spesso sopportate o giustificate in nome dell’eccessiva rigidità delle regole (come ha fatto più volte il Presidente del Consiglio per l’evasione fiscale, l’11 novembre 2004 anche di fronte al comando generale della Guardia di finanza). La Costituzione nei suoi principi e nelle sue regole essenziali viene ignorata o relegata in una sfera extragiuridica o in quella dell’antimodernità. Come se il fatto di avere più di sessant’anni fosse di per sé sinonimo di vecchiezza. L’attacco ripetuto e costante contro la Costituzione, al quale la politica trova assai comodo addebitare i disastri e l’incapacità innovativa derivanti dalla propria insipienza, va a colpire al cuore quell’insieme di valori che dovrebbe essere di guida e di modello per tutti, e in particolare per i titolari di funzioni pubbliche. Indici concreti del degrado civile sono l’evasione fiscale, calcolata da Confindustria in 120 miliardi l’anno, la corruzione, che ha fatto collocare l’Italia al sessantasettesimo posto nella classifica stilata per il 2010 da Transparency International e che secondo la Corte dei Conti ammonterebbe a 60 miliardi all’anno, e infine la diffusione nella economia e nella società della grande criminalità. [...]

Vi è infine un degrado politico che pregiudica il corretto funzionamento delle istituzioni. I partiti appaiono come entità oligarchiche sempre più distaccate dalla società e negli ultimi venti anni si è imposto il modello del “partito personale” (secondo la felice espressione di Mauro Calise), il cui compito fondamentale non è di rappresentare interessi sociali, [...], ma quello di lanciare un leader che appaia in grado di rimanere più a lungo possibile al potere. In Italia il fenomeno è stato accentuato dalla radicalità della crisi che all’inizio degli anni Novanta del secolo scorso ha colpito il sistema politico e dalla successiva commistione tra potere politico, economico e mediatico, che ha portato all’emergere di un capo carismatico, il quale ha dato vita ad un partito votato al culto della sua personalità e alla difesa dei suoi interessi privati (economici e giudiziari). [...]
Il degrado politico determina l’inesistenza di una qualsiasi etica pubblica, che viene spesso condannata come moralismo. Ciò comporta che il comportamento indecoroso e socialmente o eticamente riprovevole di un uomo politico non porta al suo allontanamento o a sanzioni politiche, ma viene giustificato finché non vi sia una sentenza definitiva di condanna della magistratura. [...] Di fronte a comportamenti ingiustificabili e degradanti viene poi invocata la privacy dell’uomo pubblico come sfera che non tollera alcuna intromissione e che giustifica qualsiasi comportamento, anche il più vergognoso e contraddittorio rispetto agli “ideali” proclamati pubblicamente, e quindi perfino la commissione di reati (la maggioranza dei quali, come si sa, vengono commessi in privato). Si dimentica volutamente che il livello di tutela della privacy di un uomo pubblico è necessariamente inferiore rispetto a quello di un comune cittadino. E che in base all’art. 54, c. 2, Cost. i titolari di funzioni pubbliche “hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore”. Naturalmente la tanto invocata privacy non vale più nei confronti di chi si permette di criticare o di controllare uomini potenti. Questi viene esposto ad attacchi mediatici, basati su notizie di scarsa rilevanza, quando non inventate (come nel caso Boffo) o mediaticamente costruite sul nulla (come per il giudice Mesiano), o sulla minaccia di pubblicare notizie sgradevoli. Certo, si può sostenere con buoni argomenti che la classe politica è lo specchio della società attuale. Ma si tratta di una ben magra consolazione, perché da quando si è affermato il suffragio universale i cittadini sono stati convinti che fossero chiamati ad eleggere i “migliori”, quelli che per capacità di esprimere interessi sociali, per cultura, per qualità umane, apparissero come i più degni di rappresentarli. Nel momento in cui la qualità e la dignità della rappresentanza vengono degradate al livello medio (o forse anche più basso) esistente nella società, essa perde di ogni credibilità e la nobile professione del politico viene ad essere appannaggio di persone in cerca di successo e che sarebbero incapaci di emergere in qualsiasi altra attività umana.

Mauro Volpi - da I barbari siamo noi? Una riflessione sui costumi incivili degli italiani.

domenica, dicembre 12, 2010

Un saluto alla Fumetteria

Ho un negozio di fumetti. Scrivo queste righe e il tempo del verbo avere si sta per trasformare da presente a imperfetto. Fra qualche giorno avevo. Poi avrò avuto. Il negozio si chiama Lo Zainetto Pratico di Heward e si trova in via Principe di Napoli 94 a Bracciano, vicino Roma. Fino a settembre, tenevo aggiornato il blog del negozio, con tutte le uscite. Il negozio non era solo una fumetteria, potevi trovarci anche Giochi di Ruolo, giochi in scatola, miniature, accessori per collezionismo, action figures, dvd di anime e serie di carton animati, gadgets. Nel retrobottega ho allestito una sala per giocare, dove negli ultimi due anni sono stati organizzati tornei di Magic, di Dungeons & Dragons, corsi di disegno, di giapponese, e molti altri eventi.

Tutto questo adesso lo lascio ad altri. Il negozio non chiuderà, se qualche cliente legge queste righe si tranquillizzi. Ma altre persone, amici, prenderanno in gestione la mia attività e io da quel momento in poi sarò solo il proprietario del locale. Due anni sono bastati per farmi perdere qualsiasi entusiasmo nel gestire una attività commerciale. Qualsiasi. E scrivo questo post affinché chiunque lo legga
possa farsi un'idea di cosa significa gestire un negozio in Italia, nel 2010, in particolare un negozio di fumetti. Roba che molti in questi anni sono entrati e mi hanno chiesto di poterci lavorare! ...altri mi dicevano: sei fortunato, a fare un lavoro del genere! ...e altri ancora sognavano di poterne aprire uno anche loro, da qualche parte. Ecco anche io all'inizio la pensavo così. Pensavo che in un paese civile ed economicamente avanzato, se un povero cristo volesse vendere qualcosa, gli bastasse trovare i clienti, acquistare i prodotti, rivenderli, e non dico arricchirsi... ma sopravvivere. Non perderci tutto.

Invece no. Siamo in Italia, nel 2010 appunto. Ho iniziato col comprare il locale. Avete capito bene, il locale è mio. Niente affitto, niente spese di quel tipo. L'ho pagato all'istante, senza mutuo, centomila euro in due assegni e ho comprato un locale commerciale in Via Principe di Napoli, la via principale del paese. Più altri ventimila euro di tasse, mobilio e contratti vari, e il negozio era mio, arredato, pronto a partire. Non ho mai avuto problemi di clientela, Bracciano è un paese piccolo ma gli appassionati non mancano. I primi mesi di attività dovevano essere i più duri (secondo quel che si dice in giro) invece il negozio è andato benissimo sin da subito.
Il fatturato in uscita era di più di mille euro di merce acquistata ogni settimana, e vi assicuro che non spendevo in cose futili. Qualche volta mi è capitato di ordinare troppi numeri di un fumetto, o dei portachiavi che si sono rivelati schifezze, o magliette che non ho venduto. Ma credo che capiti a chiunque, anche al più oculato e parsimonioso gestore di negozio.

Quello di cui mi sono reso subito conto, era l'esiguo (direi quasi ridicolo) margine di guadagno garantito da un'attività del genere. Un fumetto -è meglio che lo sappiate- costa al negoziante circa un terzo del suo prezzo di copertina (prezzo imposto) e questo nonostante sui fumetti, come sui libri, non ci si paghi l'iva. In pratica il fatto che l'iva sia assolta per legge, ingrassa il distributore non chi vende il fumetto al dettaglio. Faccio un esempio: un gioco in scatola, come monopoli, mi viene venduto dal fornitore con circa il 45% di sconto, ma poi ci devo pagare l'iva del 20% quindi alla fine il mio margine di guadagno è sempre un terzo/un quarto del prezzo al quale il cliente lo acquista. Sul fumetto (così come sui manuali di giochi di ruolo) non grava l'iva, quindi mi aspetterei di guadagnarci di più. Invece no, perché il distributore te li sconta del 30% mangiandosi di fatto il risparmio dell'iva. Al negoziante spetta lo stesso margine che se vendesse merce su cui grava l'iva.

A ridurre ulteriormente l'esiguo margine di guadagno, c'è anche il discorso dello sconto. Le fumetterie, per contrastare la concorrenza delle edicole, ricorrono spesso a uno sconto del 10% sui fumetti. E' vero che non tutti i fumetti che si trovano in fumetteria o in libreria escono in edicola, ma diciamocelo chiaro e tondo, quelli che vendono di più sì. Alla fine quindi, un fumetto che ha un prezzo imposto di 3,90 euro viene scontato a 3,50 in modo che il cliente sia invogliato a comprarlo in fumetteria anziché in edicola. Il negoziante l'ha pagato 2,70 e ci ha guadagnato solo 80 centesimi. Mettiamo che il negoziante ordini un centinaio di questi fumetti. Li dovrà pagare alla consegna, quindi 270 euro (più le spese del corriere e del contrassegno, che non sono mai meno di 10 euro a consegna, ma sorvoliamo). Di questi 100 fumetti, ne vende 80. Voi direte: cavolo! E' andata bene, li ha venduti quasi tutti. Invece è andata malissimo. Vendendo 80 fumetti a 3,50 ci ha fatto 280 euro, che è appena sufficiente a coprire il costo a cui li ha acquistati! In pratica ci ha guadagnato 10 euro, a monte di un movimento di denaro 20 volte superiore.

Certo direte: quei 20 fumetti che avanzano, magari li rivenderà nel corso degli anni, forse anche a prezzo maggiorato se il fumetto acquista valore (cosa che capita raramente, checché ne possano pensare gli appassionati)! ...ma si tratta comunque di investimenti che non rientreranno a breve. E' il cosiddetto "magazzino" che fa la differenza tra una fumetteria e un'edicola (che invece ha il reso, e non ha nessun interesse a soddisfare clienti che arrivano dieci mesi dopo l'uscita di una serie a chiederti il numero uno). Nella maggior parte dei casi, quei fumetti resteranno in magazzino finché non uscirà una prestigiosa ristampa, o finché il fumetto non sarà dimenticato, e la fumetteria a quel punto potrà solo svenderli a prezzi irrisori, o usarli come carta straccia. Ecco spiegato come è stato possibile che ogni mese io pagassi 4 o 5 mila euro di materiale, e a fine mese mi ritrovassi a guadagnarci 4 o 500 euro. Cioè niente, perché poi c'è da pagare corrente, telefono (internet), ici, inps (batoste da 700 euro ogni tre mesi che non tengono conto minimamente di quanto un'attività guadagni realmente), tassa sui rifiuti, acqua, iscrizione alla camera di commercio, spese di condominio, e tutte le altre spese (bisognerà sempre pulire, sostituire le lampadine, aggiornare il sofware, cambiare lo zerbino, allestire la vetrina per Natale, comprare le buste eco-compatibili, la carta per i pacchi regalo e le coccarde) comprese assurde tasse extra infilate nel mucchio dal comune (tassa sul recupero dei cartoni, 100 euro all'anno grazie).

I primi due anni li ho passati così. Guadagno zero. Facevo il fumettarlo per passione, per volontariato, per vocazione. Mi piaceva allestire tornei di Giochi di Ruolo nel retrobottega, vedere gente che giocava, promuovere questo tipo di attività sociale, coinvolgere i ragazzi più giovani. Non ho recuperato un solo euro di quanto investito, e tutto non perché non abbia clienti o il negozio non funzioni. Ripeto: ho sempre pagato 5.000 euro al mese di merce, per due anni. Quindi qualcuno la roba se la comprava. L'incasso c'era ogni giorno. Qual'era allora il problema? Il problema è che i soldi non ce li ha più nessuno. Lo stato non ha più i soldi. I fornitori non hanno più i soldi. Il comune non ha più i soldi. I corrieri che ti portano i pacchi non hanno più i soldi. Le aziende che forniscono elettricità e telefonia non hanno più i soldi.
E allora cosa si fa, in Italia? Si cerca di prendere più soldi possibile a chi li fa. Lo stato tra tasse dirette e indirette esige tasse da lasciarti mesi senza mangiare (ehi questo NON è un luogo comune, a me chiedevano e chiedono tuttora 700 euro ogni tre mesi e io guadagno dichiarazione dei redditi alla mano 600 euro al mese... sapete che significa?). Il comune inventa servizi inutili da farti pagare per rimpinguare le sue casse. I corrieri consegnano dopo tre giorni tanto li devi pagare lo stesso. Le tariffe di elettricità e telefono sono le più alte d'Europa. E la distribuzione che si mangia ogni vantaggio e che considerato il prezzo imposto ti impone lei stessa il margine di guadagno. Solo che se nessuno ha i soldi, e quindi i soldi li chiede a chi ne fa un minimo, alla fine chi ne fa un minimo non fa più nemmeno quel minimo.

A settembre ho detto basta. Dopo due anni del mio investimento iniziale non avevo recuperato nulla, e non ero riuscito a mettere da parte un solo euro. Sono stato anche male, un mezzo esaurimento se volete chiamarlo così. Non me la sento più di fare volontariato, di nessun tipo, meno che mai quello non riconosciuto come tale, che passa come attività commerciale. Se affitto il locale ci guadagno qualcosa, chi me lo fa fare a starci dentro otto ore a servire i clienti? Questa è l'Italia fondata sul lavoro. L'unica vera forma di guadagno è l'investimento immobiliare. O la frode fiscale. O entrambe le cose, come ci insegna il nostro attuale premier.
Spero di non aver scoraggiato nessuno, in cuor mio credo ancora che alla fine le cose possano cambiare e che non ci ritroveremo impantanati in un'economia stagnante che premia chi mette i soldi nei paradisi fiscali. Ma la realtà al momento è quella che é. Buona fortuna a tutti.


lunedì, febbraio 19, 2007

Beppe e le BR

Interessante questo post di Beppe Grillo, che provocatoriamente arriva quasi a giustificare le BR. Non lo fa, è ovvio, ma ne capisce le motivazioni. "Capire" è lo strumento fondamentale che dovrebbe precedere qualsiasi intervento. Non "interpretare", "decifrare", "intuire"... ma "capire". Se capissimo le motivazioni del Terrorismo Islamico, ad esempio, utilizzeremmo come soluzione radere al suolo i loro paesi a colpi di bombe?

I sindacalisti sono istituzionali, qualche volta conservatori, spesso riformatori. Osservatori del mondo del lavoro. Amano lo Stato, diventano presidenti della Camera, del Senato. Perfino ministri e sindaci. Dopo l’Arma dei Carabinieri ci sono loro. E allora perchè nessuno si è chiesto perchè dei sindacalisti sono diventati brigatisti rossi?
Forse perchè 1200 persone muoiono sul lavoro ogni anno? Morti con stile. Meglio che nei racconti di Hannibal Lecter. Negli ultimi giorni un operaio è morto in una vasca di trielina e un altro è stato incenerito da una fiammata.
Forse perchè molti sono assunti solo dopo morti per regolarizzarli?
Forse in questi sindacalistibrigati sti si è insinuato il dubbio che in Italia esista lo schiavismo? E che i diritti conquistati nel dopoguerra siano stati annullati dalla legge Biagi?
Chissà.
I sindacalisti sanno che un banchiere condannato per bancarotta in Italia non rischia niente. Che in Parlamento stanno comodamente seduti venticinque condannati in via definitiva. E che se ad essere condannato fosse un operaio nessuno gli darebbe più un lavoro. Hanno arrestato quattro persone perchè distribuivano volantini a sostegno delle Brigate Rosse. Dopo due giorni le hanno rilasciate. Nulla da obiettare. Ma se ci fosse la stessa severità nei confronti del vertice Telecom, dei manager di Stato che hanno trasformato le aziende in scolapasta e delle amministrazioni corrotte quanti ne dovrebbero arrestare?
Farsi qualche domanda può aiutare a capire perchè nella CGIL si annidassero dei pericolosi brigatisti. O più semplicemente delle persone che, sbagliando, non vedevano altre vie.
Capirne 20 per evitarne 100.000.

martedì, gennaio 23, 2007

Elio Catania

Elio Catania. Il governo Berlusconi lo aveva nominato amministratore delegato delle Ferrovie dello stato. Il suo contratto prevedeva che, in caso di dimissioni, avrebbe avuto una buona uscita milionaria. Il bilancio delle Ferrovie sotto la sua gestione è stato catastrofico, l'azienda è oggi ancora più in passivo di prima. Si è dimesso. Ha beccato 7 milioni di euro.

Adesso me lo ritrovo Consigliere di Amministrazione di Banca Intesa. Cioè della mia banca (ho il conto alla Cassa di Risparmio della Provincia di Viterbo, gruppo Intesa).
COMPLIMENTI! Bella scelta! Siete dei grandi! Bravi!
Suppongo che quando dovete assumere nuovo personale, prima di fargli un bel co.co.co. della minchia, gli guardiate il curricolum e decidiate se ne vale la pena. A Elio Catania chi glielo ha controllato il curricolum?