sabato, aprile 03, 2010

Dodici dita

“Al saggio non può capitare niente di male.
E' più forte di tutto ciò che lo circonda.”
- Lucio Anneo Seneca

Dodici dita si guardò le mani. Aveva solo dieci dita, come tutti. Con calma e dedizione si abbandonò ai gesti automatici che lo avrebbero condotto a rimontare la sua vecchia pistola.

Per prima cosa, il popolo. Quella massa di esseri brulicanti che schiamazzavano nelle strade attorno a lui. Mercanti, artigiani, contadini... Vecchi e giovani, uomini e donne. Scendendo nello specifico qualcuno di loro poteva essere interessante, forse abbastanza da condividere con lui qualche pena, ma bastava salire un po' più in alto sulla torre, allargare un po' la visuale, defocalizzare, rifocalizzare, e cosa si otteneva? Marmaglia. Si può imparare a vedere tutto dall'alto, basta abbandonare ogni curiosità, e tradire la fantasia. Improvvisamente sono tutti uguali. Così li percepiva, Dodici Dita.
Dodici dita incastrò velocemente tutti i pezzi dell'arma. Una serie di click lo rassicurò sul giusto posizionamento degli ingranaggi, ma non ce n'era bisogno. Aveva smontato e rimontato la pistola centinaia di volte, centinaia.

Il punto di vista delle pietre. Le pietre che lastricavano l'intera via erano state posizionate lì dai grandi re del passato, e avevano attraversato i secoli, in parte sepolte dalla terra, in parte spaccate dal tempo, in parte levigate dal continuo passaggio. Ognuna di quelle pietre era un testimone logoro dell'insignificanza dell'esistenza. Quante volte avranno ascoltato i discorsi delle persone che distrattamente le calpestavano? Discorsi sulla politica, sulla famiglia, sul bene e sul male, ogni volta pronunciati come se fossero cose importanti, fondamentali, addirittura cose vitali. Sorrise. Vitali, ma non per le pietre. Forse per quelle brevi esistenze. Secoli dopo qualcuno rifarà gli stessi discorsi, e le pietre restano lì, costrette a risentirli.
Spinse il cristallo nella canna. Energia luminosa si sprigionò dalle superfici lisce della scheggia vetrosa, prima che scomparisse nel buio del cilindro di essedreel. Senza quel cristallo, l'arma non avrebbe sparato. Il cristallo era il cuore dell'arma.

La via religiosa alla salvezza. Alcuni religiosi si muovevano tra la folla, il corpo ammantato di vesti costose, nonché di sicurezze inventate. Lungo la strada incontravano altra gente, anime impaurite e riverenti, che elargivano sorrisi in cambio di benedizioni. Buone maniere in cambio di serenità. Non è male come scambio.
L'arma vibrò in maniera quasi impercettibile. Il metallo che assorbiva l'energia del cristallo. Dodici dita infilò una mano in tasca e ne estrasse una manciata di proiettili, grossi pallettoni argentati. Un paio caddero a terra, scivolarono seguendo le spaccature nelle assi del pavimento e finirono per infilarsi sotto il mobilio spartano della stanza. Dodici dita vuotò la mano in una ciotola di legno, su uno sgabello, vicino alla finestra.

La sordità alle grida del mondo, laceranti e stridule, acute e altissime, angoscianti e terribili.
Perché le orecchie delle altre persone non sanguinavano? Dodici dita lo sapeva. Perché erano nati sordi. Tutti quanti. E per non sentirsi inadeguato Dodici dita aveva cercato di sfondarsi i timpani con un chiodo da staccionata all'età di diciassette anni. Ora ne aveva trentasette, era sopravvissuto per tanti anni a quei lamenti strazianti grazie al fatto che ci era riuscito, anche se solo a metà. L'orecchio destro non ascoltava più, nulla. Nemmeno il fragore della sua arma, quando l'avvicinava al volto per fare fuoco.
I proiettili scorrevano all'interno della pistola, come cubi d'acqua congelata in una gola di ferro. Dodici dita distese il braccio e sfiorò col dito il grilletto. Uno scatto, il ritrarsi istantaneo di una molla, una cuspide di essedreel avrebbe scalfito il cristallo, l'energia avrebbe percorso la canna, il proiettile sarebbe stato vomitato fuori dal buio. Una pallina lucente che schizza nell'aria incurante di tutto quello che attraversa. PAM. Cielo azzurro, drappo di una bandiera, ancora cielo azzurro, lembo di una tunica, pelle, cranio, cervello, cranio, pelle, cielo azzurro... pietra angolare della torre. Così sarebbe andata.

E infine il denaro. Le monete d'oro, i lingotti d'argento. Gemme, pietre preziose, diamanti. Stoffe pregiate, vesti di lusso, vini speziati, portate deliziose, droghe esotiche, cortigiane e feste senza calendario. Dodici dita aveva rinunciato a tutto questo tanto, tanto tempo fa. Strisciava tra i vicoli, come un grosso topo carognoso, per non essere visto e non vedere. Sapevano dove trovarlo, all'occorrenza, sapevano come chiamarlo, se avevano bisogno di lui. Lui non aveva bisogno di niente, di niente e di nessuno. Solo di una sentenza di condanna. Perché le persone emarginate come lui potevano permettersi di giudicare la società, ma non di condannarla. Era sempre stato così, e così sarebbe stato per sempre.
Tirò il grilletto con forza. Dodici dita.

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