"Parlare del perdente è difficile, e sciocco non parlarne. Sciocco perché il vincente definitivo non può esistere e perché a ciascuno di noi è riservata la stessa fine [...]. Difficile perché è troppo facile accontentarsi di una simile banalità metafisica. In tal modo, infatti, non si coglie l'effettiva dimensione dirompente: quella politica. Invece di decifrare i mille volti del perdente, i sociologi si attengono alle loro statistiche: valore medio, deviazione standard, distribuzione normale. Raramente arrivano a ipotizzare che potrebbero a loro volta fare parte dei perdenti. Le loro definizioni sono come quando si gratta una ferita: stando a Samuel Butler, quella poi prude e duole più di prima. Fatto sta che da come l'umanità si è organizzata - capitalismo, concorrenza, impero, globalizzazione - non solo il numero dei perdenti aumenta di giorno in giorno; come in ogni compagine di massa presto si verifica un frazionamento; con un processo caotico e indecifrabile le schiere dei soccombenti, dei vinti, delle vittime si scindono fra loro. Il fallito si rassegna alla propria sorte, la vittima chiede soddisfazione, il vinto si prepara alla prossima tenzone. Ma il
perdente radicale si ritrae in disparte, diventa invisibile, coltiva il suo fantasma, raduna le proprie energie e attende la sua ora."
Incipit di Hans Magnus Enzensberger,
Il Perdente Radicale, Einaudi
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