mercoledì, ottobre 13, 2010

Siamo invasi dagli orchi

“Questo è un Paese di orchi”

Lo psichiatra Paolo Crepet, in controtendenza rispetto ai suoi colleghi, si rifiuta di cercare letture sociologiche degli ultimi episodi di violenza a Roma e Milano: “Per decenni abbiamo dato spiegazioni a tutti i fenomeni, ma queste persone sono aborigeni che prendono una clava e la spaccano in testa al primo che passa. A forza di cercare interpretazioni di questi crimini si finisce per darne una lettura benevola, per giustificare gli aggressori. Non ci sono provocazioni, né ragioni valide, né malattie mentali. L’Italia è piena di orchi”.

Professore, c’è un aumento della violenza oppure se ne parla solo di più?
Non mi interessa se vent’anni fa il numero dei crimini era lo stesso. Il problema è che noi, come società, siamo fermi. E questa è una colpa tanto più grave perché oggi c’è meno ignoranza che in passato.

Come si spiega l’indifferenza delle persone che, nella metropolitana di Roma, camminano accanto alla ragazza romena incosciente senza reagire ?
C’è un vortice di rassegnazione, cinismo ed egoismo che crea questa violenza. I giovani la respirano. Il video dell’aggressione a Roma è sconvolgente nella sua metafora: vecchi, giovani, uomini e donne passano di fianco al corpo della ragazza senza preoccuparsene. È una fotografia.

Di cosa?
Dell’Italia in cui il ministro Ignazio La Russa chiede di mettere le bombe sugli aerei, del Paese in cui il sindaco di Milano Letizia Moratti si guarda bene dall’andare a visitare il tassista in fin di vita all’ospedale. C’è un contesto in cui i compaesani di Sarah Scazzi che chiedono la pena di morte per lo zio assassino s’inseriscono naturalmente: è quello dell’imbarbarimento dovuto al fatto che la classe dirigente per prima non combatte le violenze.

A cosa allude ?
Abbiamo la più grande industria di Stato, quella della criminalità organizzata, che guadagna con la droga e agisce indisturbata.

Perché azienda di Stato?
Perché se lo Stato non combatte le mafie ne diventa complice, connivente. Si tollerano le cosche, si appoggiano le guerre, si anestetizzano le periferie: questo provoca l’incattivimento delle persone, la cultura dell’odio e della rabbia.

A proposito di droghe, crede che la violenza crescente dipenda anche dalla diffusione di sostanze stupefacenti?
Certamente. Ma, ripeto, la responsabilità è soprattutto collettiva, perché non combattiamo il fenomeno.

Gli omosessuali aggrediti, gli immigrati picchiati, i cadaveri delle due bambine rom ignorate sulla spiaggia di Napoli: le minoranze sono le prime vittime del clima che lei descrive.
È quel che succede quando c’è la paura. Il violento, da Hitler in giù, è un codardo. Non se la prende con chi si può difendere. I pestaggi al gay pride in Serbia, poi, dimostrano che quando un Paese è abituato alla violenza non abbandona quella tendenza, la riproduce nella quotidianità.

Come ci si può difendere?
Ciascuno deve essere consapevole che il Paese è invaso dagli orchi. Purtroppo sembra che il singolo sia costretto di nuovo a pensare da solo alla propria sicurezza. E questo è sintomo evidente dell’imbarbarimento. Soprattutto, ci vuole un coraggio da Savonarola, bisogna smetterla con la mediazione e con la mediocrità: è arrivato il momento di indignarsi.

da Il Fatto Quotidiano del 13/10/2010

venerdì, ottobre 08, 2010

Buon uomo e coglione

«Poiché gli intrighi e le arti ingannevoli in uso nella società civile diventano lentamente massime comuni e complicano notevolmente il gioco delle azioni umane, non c'è da meravigliarsi se un uomo altrimenti intelligente e onesto per il quale tutta questa furberia è troppo spregevole perché egli debba occuparsene, o che non sappia indurre il suo cuore retto e ben intenzionato a farsi un concetto tanto odioso della natura umana, possa finire da tutte le parti tra le spire di ingannatori e debba offrir loro occasione di riso. Cosicché, alla fine, l'espressione "buon uomo" finisce col significare, non più in modo metaforico, proprio un babbeo, e se capita, anche un coglione; poiché, nel linguaggio dei furfanti, nessuno è un uomo intelligente se non considera gli altri niente di meglio di quanto egli stesso sia, e cioè degli imbroglioni.»
– da Immanuel Kant, Saggio sulle malattie della mente

Stamattina mi sento più fuori-luogo del normale, più del dovuto diciamo. Percepisco che non ne avrei ragione, ma certi giorni uno si alza così, e certe sensazioni se le tiene. Così, leggendo il piccolo Saggio sulle malattie della mente di Kant, ci ho trovato tante cose interessanti. In realtà, credo che molte siano delle constatazioni anche piuttosto semplici e (con tutto il rispetto di Kant) banali. Questa qui sopra ad esempio ci dice che la società civile è marcia, perché costruita sullo sciacallaggio e l'egoismo, e chiunque sia un minimo benintenzionato non può che essere deriso o considerato un babbeo da chi accetta invece il meccanismo sociale imperante. E per Kant essere benintenzionati, e cioè disprezzare lo stato delle cose, è un segno di intelligenza. Per cui alla fine le persone intelligenti, quelle consapevoli, sono quelle critiche, che muovendosi controcorrente, privilegiando atteggiamenti di solidarietà, finiscono per rendere la propria vita un inferno. Sono dei babbei, dei coglioni.

PS: ho vinto il premio Rac-Corti indetto da Flanerì, con il racconto Dodici Dita. :)

giovedì, ottobre 07, 2010

Pensioni in parlamento

Il 21 settembre di quest'anno è stata votata in parlamento una mozione per ridurre le pensioni dei parlamentari, adeguandole a quelle dei "comuni" cittadini. La mozione è stata respinta con la quasi totalità dei voti contrari (su 520 votanti, solo 20 hanno detto sì, vedi questo blog per maggiori dettagli). Mi preme di più segnalare qualche riga dell'intervento di Antonio Borghesi, il parlamentare che ha proposto la mozione:

"Non sarà mai accettabile per nessuno che vi siano persone che hanno fatto il parlamentare per un giorno - ce ne sono tre - e percepiscono più di 3.000 euro al mese di vitalizio. Non si potrà mai accettare che ci siano altre persone rimaste qui per sessantotto giorni, dimessisi per incompatibilità, che percepiscono un assegno vitalizio di più di 3.000 euro al mese."

E non c'è molto altro da aggiungere. Qualcuno mi ha pure chiesto: "tu non avresti fatto lo stesso?" Non avresti votato contro qualcosa che ti riduce la pensione, che revoca un tuo privilegio? ...no, non l'avrei fatto. Avrei rinunciato a una pensione vergognosa. E se questa vi sembra ipocrisia, vuol dire che non credete più nelle persone oneste, e siete già vittime del sistema.

martedì, ottobre 05, 2010

La nobiltà dell'indignazione

Io, disabile, non voglio più essere italiana
di Anita Pallara

Mi chiamo Anita Pallara e sono una ragazza di 21 anni affetta da atrofia muscolare spinale, una malattia neurodegenerativa e totalmente invalidante. In parole povere, sono handicappata. Mi rivolgo al professor Joanne Maria Pini che vorrebbe buttare me e quelli come me dalla Rupe Tarpea: la disabilità non è un valore aggiunto, non è proprio un valore. È solo una condizione. Non voglio parlare di solidarietà e nemmeno di sensibilità. Io parlo di diritti. Il diritto all’istruzione ce lo garantisce la Costituzione. Le sue parole, professore, sono vergognose, pericolose, razziste e illegali. Ma che valore ha tutto ciò nel nostro Paese? A parte le ovvie reazioni di sdegno e le condanne morali, quale sarà la conseguenza reale? A voi tanti che parlate di “selezione genetica”: io non sono disposta a subire questa ignoranza nel 2010. Se non ci saranno delle forti prese di posizione da parte delle istituzioni e dei media, io mi recherò alla Prefettura di Bari e consegnerò la mia carta d’identità e il mio passaporto, rifiutando così la cittadinanza italiana. Non posso essere cittadina di uno Stato di questo tipo.

da Il Fatto Quotidiano del 5 ottobre 2010