Le rigide, squadrate, altissime mura della casa del signor Knodeldome si ergevano attorno a Sergio, che con il becco in aria ne ammirava colmo di stupore le decorazioni... vecchie pitture incorniciate, libri sospesi su tavole traverse, maschere di porcellana che altalenavano sulle pareti, sfere luminose che dondolavano giù dai soffitti. Gli ambienti erano riempiti di qualsivoglia genere di cianfrusaglia, quasi a voler creare un disorientante percorso a ostacoli per chiunque volesse giungere dall'altra parte di ogni stanza. Ma dopo aver percorso un breve tratto di corridoio, Sergio superò un arco di pietre e si ritrovò in quella che doveva essere la stanza descritta da Wittie nei suoi racconti. Il kiwi non aveva mai prestato molta attenzione alle parole del gufo, ma c'erano alcuni indizi che rendevano la deduzione inequivocabile: innanzitutto due delle tre pareti erano rivestite con strutture di legno colme di libri; poi al centro della stanza c'era un tavolino basso e un divano spelacchiato, proprio quelli dove, nel racconto, papà Knodeldome e suo figlio si erano apprestati a leggere il libro di Bart il tasso; infine, in un angolo della stanza vicino alla finestra, un trespolo metallico simile a quello che teneva imprigionato Wittie adesso ospitava un nuovo pennuto. Si trattava di un aramacao dallo sguardo sonnacchioso, che probabilmente non si era nemmeno accorto di Sergio.
Il kiwi non aveva intenzione di portare a termine l'impresa. Dopo la morte di Luis, l'unica cosa che voleva era di tornarsene a casa il più velocemente possibile. Ma per farlo avrebbe dovuto raggiungere un uscita, e pareva proprio che il signor Knodeldome l'avesse nascosta in un labirinto di mura. Saltò sul tavolino e poi sul divano, quindi con l'ennesimo balzo raggiunse la sommità della spalliera imbottita. Si guardò attorno. Nelle pareti della sala si aprivano altre due porte, ma erano chiuse dannazione, e Sergio non aveva intenzione di rimetterci il cranio per aprirle. Poi c'erano ampie finestre dalle quali era possibile ammirare l'esterno e il cielo notturno luminoso di stelle. Ma anche le finestre erano chiuse. Non c'era alternativa: bisognava chiedere aiuto al pappagallo.«Ehi... ehilà... signor aramacao!»
Il pappagallo dalle piume di mille colori sollevò stancamente una palpebra.
«Chi mi chiama?»
«Sono qui, sul divano. Mi chiamo Sergio e mi sono perso. Sarebbe così gentile da aiutarmi ad uscire da questa tana? Ho un appuntamento per colazione, domani mattina... non vorrei mancare.»
Sergio non sapeva cos'altro inventarsi. Sarebbe stato troppo ridicolo dire: sono qui perché col mio amico pettirosso pensavamo di rubare un antico tomo che descrive le gesta eroiche di un tasso, ma poi lui si è fracassato la testa su una porta di legno e adesso vorrei solo andarmene a casa.
«Ohibò, un kiwi. – Notò lo sgargiante pennuto. – Come sei entrato?»
«Dalla finestra della stanza del tinello.»
«Oh... perdoni il disordine allora! La signora Knodeldome è fuori per qualche giorno e torna domani, ci saranno tanti panni da stirare. Solitamente la signora se ne occupa la sera, quando torna dal suo studio. Le piace farlo mentre sorbisce trasmissioni di magro contenuto culturale alla tivù.»
Sergio mosse alcuni passi sul bordo della spalliera del divano, in modo da avvicinarsi un po' di più al pappagallo, poi a bassa voce sussurrò:
«La prego mi aiuti a uscire di qui prima che si accorgano di me! Il chihuahua qui fuori mi ha raccontato che gli umani sono soliti torturare gli altri animali per puro piacere... tipo facendo una cosa chiamata “bagnetto” o cose del genere!»
«Oh oh oh! – Ridacchiò l'aramacao. – Ulisse diventa ogni giorno più divertente! Non dovete dare retta a quello che dice quel cane. E' un chihuahua. Nascono depressi. Comunque, il mio nome è Raimondo. Abito questa casa da qualche anno e se vuole attendere che arrivi il padrone, sul tavolo ci sono dei cioccolatini dei quali può servirsi. Io ogni tanto ne rubo qualcuno e lo sgranocchio, sono troppo buoni. Però mi creano problemi all'intestino e questo non piace alla signora Knodeldome...»
Sergio sbuffò spazientito. Quel vecchio uccello rincoglionito non sembrava comprendere la gravità della situazione. Si voltò per individuare i cioccolatini, una piramide ordinata di palline dorate che faceva bella figura sul tavolino. Quando Wittie parlava di quei frutti, si soffermava sempre sulla loro buccia metallica e sulla consistenza croccante della polpa, del tutto insolita per un frutto, ma gli umani ne andavano ghiotti. Fu in quel momento che lo vide. Il libro delle avventure di Bart il tasso. Proprio dietro la piramide dorata, nella parete dei libri. Era appoggiato di traverso su uno scaffale in basso, coperto da un filo di polvere. Sergio non sapeva leggere ma la copertina era esattamente come l'aveva descritta Wittie... celeste, con alberi disegnati ovunque, e la faccia ammiccante di Bart il tasso che prendeva metà dello spazio.
«Il libro di Bart il tasso!» Esclamò il kiwi ad alta voce senza nemmeno accorgersene.
«Oh perdinci, non dirmi che conosci quella robaccia!» Commentò sprezzante il pappagallo.
Sergio si voltò verso Raimondo e lo fulminò con uno sguardo talmente carico di collera che anche un pitbull avrebbe preso appunti.
«Quello è il libro di Bart il tasso! Contiene le sue mirabolanti imprese ed è come un faro che illumina tutti noi animali, spingendoci a realizzare pienamente noi stessi e a inseguire i nostri sogni! Il mio migliore amico è morto per cercare quel libro!»
Il pappagallo si zittì. Una lacrima sgorgò dal solito occhio di Sergio, ma lui la aspirò velocemente nella narice del becco. Si rese conto che aveva parlato proprio come Luis. Non se lo sarebbe mai aspettato. Non avrebbe mai detto nulla del genere, prima. Doveva essere l'effetto del libro. Anche solo sostare nelle sue vicinanze aveva conseguenze benefiche negli animi delle creature. Sergio cominciò a sentire crescere dentro di sé una forza e un coraggio del tutto inaspettati.
«Ascoltami bene adesso, Raimondo. Io ti libererò dal trespolo, ma poi tu devi aiutarmi. Devo uscire di qui, e devo portare via con me il libro di Bart il tasso.»
«Guarda che sullo scaffale in basso c'è anche Conrad, Hemingway... Swift!»
«Fanculo Swift! – Gridò Sergio. – Bart il tasso, ho detto.»
«Eh vabbé... Bart il tasso.» Mormorò Raimondo con evidente amarezza.
Sergio prese una breve rincorsa e poi si lanciò con tutte le sue forze verso il trespolo.
«Ma che cazzo faaaaaaaai...» Urlò disperatamente il pappagallo, mentre l'intera struttura si rovesciava a terra con fragore. L'uccello colorato ruzzolò sotto una tenda, semi di girasole e acqua si sparsero sulla moquette rossa. Sergio si rimise velocemente in piedi e corse verso la catenella che stringeva una zampa del pappagallo, imprigionandolo.
«E' inutile... – Gli fece Raimondo. – Ti sembra che non ci abbia mai provato?»
«So come si fa. – Rispose il kiwi. – Un mio amico è riuscito ad aprirla e mi ha raccontato come. Basta tirar via questa linguetta di metallo, prima di estrarre il perno.»
«Lascia fare a me! Ho il becco più adatto.» Raimondo si chinò sulla propria zampa. Dopo un paio di tentativi andati a vuoto, riuscì ad afferrare la linguetta e a tirarla via. Sentì che già il meccanismo si era allentato. Afferrò col becco il perno e iniziò a tirare. Stava cedendo, ma era incastrato.
«Merda cos'è 'sto casino?» La voce del signor Knodeldome risuonò nell'ampia sala. Era evidente ormai che gli umani erano attratti dai rumori come le falene dalla luce. L'umano si arrotolò le maniche della camicia e si mosse verso il trespolo crollato, aggirando il divano. Sergio schizzò via, nascondendosi dietro un portariviste pieno di Vanity Fair e Focus.
«Non ti preoccupare per me! Lo distraggo io! – Gracchiò Raimondo mentre l'umano si chinava su di lui. – La porta bianca ha uno sportello per far uscire il gatto! E' la tua unica via di fuga!»
Il kiwi non si fece scappare l'occasione. Il sacrificio di Raimondo non sarebbe stato vano, e nemmeno quello di Luis. Corse verso la parete in fondo e con il becco afferrò il libro di Bart il tasso. Era leggero, piccolo e di poche pagine. Poche imprese, ma importanti, pensò Sergio. Poi filò veloce in direzione della porta bianca. Nel frattempo il pappagallo si dimenava ferocemente sferzando l'aria con ali e speroni.
«Ma che ti prende, Raimondo! Stai calmo!» Gli gridava il signor Knodeldome, che aveva timore di allungare una mano per paura di essere graffiato o morso. Raimondo tirò con forza il perno per un'ultima volta, e questo si aprì lasciandogli libera la zampa.
«Per la Jamaicaaaaaa!» Urlò stridendo, e si scagliò sulla faccia del signor Knodeldome. Il poveretto cominciò a bestemmiare in tutte le lingue che conosceva mentre un pappagallo di mezzo chilo lo costringeva a ripararsi il volto per non finire sfregiato.
Sergio raggiunse la porta e notò il passaggio che gli aveva indicato Raimondo. Un pertugio quadrato coperto da uno sportello basculante. Ci si lanciò addosso, finendo per rovesciarsi sui gradini di casa Knodeldome. Ce l'aveva fatta! Era all'esterno. Scosse la testa per riprendersi. Quando riaprì gli occhi, un chihuahua lo stava fissando, con la lingua penzoloni.
«Ehi, gli hai cagato sul letto?» Chiese Ulisse.
«Vaffanculo tu sei depresso!» Gli rispose Sergio rialzandosi. Poi recuperò il libro da terra e si allontanò nel giardino in direzione della breccia nella recinzione.
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