Lo psichiatra Paolo Crepet, in controtendenza rispetto ai suoi colleghi, si rifiuta di cercare letture sociologiche degli ultimi episodi di violenza a Roma e Milano: “Per decenni abbiamo dato spiegazioni a tutti i fenomeni, ma queste persone sono aborigeni che prendono una clava e la spaccano in testa al primo che passa. A forza di cercare interpretazioni di questi crimini si finisce per darne una lettura benevola, per giustificare gli aggressori. Non ci sono provocazioni, né ragioni valide, né malattie mentali. L’Italia è piena di orchi”.
Professore, c’è un aumento della violenza oppure se ne parla solo di più?
Non mi interessa se vent’anni fa il numero dei crimini era lo stesso. Il problema è che noi, come società, siamo fermi. E questa è una colpa tanto più grave perché oggi c’è meno ignoranza che in passato.
Come si spiega l’indifferenza delle persone che, nella metropolitana di Roma, camminano accanto alla ragazza romena incosciente senza reagire ?
C’è un vortice di rassegnazione, cinismo ed egoismo che crea questa violenza. I giovani la respirano. Il video dell’aggressione a Roma è sconvolgente nella sua metafora: vecchi, giovani, uomini e donne passano di fianco al corpo della ragazza senza preoccuparsene. È una fotografia.
Di cosa?
Dell’Italia in cui il ministro Ignazio La Russa chiede di mettere le bombe sugli aerei, del Paese in cui il sindaco di Milano Letizia Moratti si guarda bene dall’andare a visitare il tassista in fin di vita all’ospedale. C’è un contesto in cui i compaesani di Sarah Scazzi che chiedono la pena di morte per lo zio assassino s’inseriscono naturalmente: è quello dell’imbarbarimento dovuto al fatto che la classe dirigente per prima non combatte le violenze.
A cosa allude ?
Abbiamo la più grande industria di Stato, quella della criminalità organizzata, che guadagna con la droga e agisce indisturbata.
Perché azienda di Stato?
Perché se lo Stato non combatte le mafie ne diventa complice, connivente. Si tollerano le cosche, si appoggiano le guerre, si anestetizzano le periferie: questo provoca l’incattivimento delle persone, la cultura dell’odio e della rabbia.
A proposito di droghe, crede che la violenza crescente dipenda anche dalla diffusione di sostanze stupefacenti?
Certamente. Ma, ripeto, la responsabilità è soprattutto collettiva, perché non combattiamo il fenomeno.
Gli omosessuali aggrediti, gli immigrati picchiati, i cadaveri delle due bambine rom ignorate sulla spiaggia di Napoli: le minoranze sono le prime vittime del clima che lei descrive.
È quel che succede quando c’è la paura. Il violento, da Hitler in giù, è un codardo. Non se la prende con chi si può difendere. I pestaggi al gay pride in Serbia, poi, dimostrano che quando un Paese è abituato alla violenza non abbandona quella tendenza, la riproduce nella quotidianità.
Come ci si può difendere?
Ciascuno deve essere consapevole che il Paese è invaso dagli orchi. Purtroppo sembra che il singolo sia costretto di nuovo a pensare da solo alla propria sicurezza. E questo è sintomo evidente dell’imbarbarimento. Soprattutto, ci vuole un coraggio da Savonarola, bisogna smetterla con la mediazione e con la mediocrità: è arrivato il momento di indignarsi.
da Il Fatto Quotidiano del 13/10/2010