Qualcuno, tempo fa, mi fece riflettere sull'immagine della morte. I morti viventi rappresentano la morte, una paura atavica dell'uomo, che improvvisamente in questi film ci troviamo a fronteggiare. Non moriremo, torneremo in vita. Il nostro corpo straziato si trascinerà per il mondo cercando i vivi per divorarli. I nostri amati cari irromperanno nelle nostre case per strappare brandelli della nostra carne. Sono in effetti tutte componenti valide della "paura degli zombi". Ma appunto, sono motivazioni che ce li rendono terrificanti, non amabili. Invece lo zombi è sempre più un'icona amata, un simbolo, qualcosa che (come dice lo stesso Romero) "non muore mai". I racconti, i romanzi, i film di zombi ormai hanno esplorato ogni terribile aspetto del fenomeno zombi: dalla corsa alla sopravvivenza (le regole di Zombieland e dei manuali di sopravvivenza appositi), alle conseguenze morali (sparare o no all'amico appena morso che si sta per risvegliare? un classico intramontabile), alle implicazioni sociali su vasta scala (crollo dell'economia, creazione di un nuovo tipo di società, vedi La Terra dei Morti Viventi). Inoltre alla paura della morte si possono aggiungere centinaia di altre componenti: la paura del contagio (come in 28 Giorni Dopo e in tutti quei libri o film dove il risorgere dei morti è conseguenza di un'epidemia), il crollo di qualsiasi sicurezza, la violazione dei nostri spazi, la corruzione della carne eccetera. Ma stiamo divagando. Il mio parere è che il "successo" dei morti viventi non può essere dovuto solamente all'attualità del modo in cui ci spaventano.
I primi film di Romero erano politici. Qualcuno dissentirà, dirà che erano horror come tanti e che come tanti altri film dello stesso genere avevano quella venatura di critica sociale che serve solo a rendere più interessante la trama (quando un film horror è fatto bene). In realtà io ci vedo molta più politica in un film di zombi di Romero che in una puntata di Ballarò, ma che volete farci, sarò malato. Quando mi viene presentata l'idea di un gruppo di disperati chiusi in un supermercato e assediato da gente morta che vuole mangiarseli, non riesco a non fare un centinaio di collegamenti con quello che succede nel nostro mondo tutti i giorni. Insomma, al di là di quello che dice lo stesso Romero: «Ho sempre simpatizzato per gli zombie, hanno un che di rivoluzionario. Rappresentano il popolo solitamente senza idee autonome che a un certo punto, stanco dei soprusi, si ribella. Eravamo noi nel '68. E ora siamo morti, no? I nostri ideali sono morti, io sono uno zombie.» mi pare che applicando il metodo Montessori a certi film, si possano trovare interessanti analogie con la realtà. E' per questo che gli zombi ci affascinano così tanto? ...perché li vediamo come una rilettura della faccia più triste della nostra quotidianità? Ripetere gli stessi gesti, ogni giorno, muoversi solo per mangiare, vivere, morire, e forse non morire mai, consumare, venire decerebrati da qualcosa che ti impedisce di uscire dalla massa, massificati e costretti a rivivere per sempre lo stesso giorno, finché qualcuno non ti spara in testa. Non sono zombi forse i ragazzi impasticcati che si scrollano di dosso il sudore al ritmo di percussioni caotiche in una discoteca? Non sono zombi le masse di lavoratori accalcate nei treni per pendolari, come carri bestiame, trasportati verso l'ennesima giornata di lavoro? Non sono zombi forse anche i dirigenti delle mega aziende che si nutrono della carne viva dei loro sottoposti, intascandone il sangue sotto forma di stipendi milionari, interessati solo ad accumulare soldi? mmmh no questi ultimi in effetti somigliano più ai vampiri. Ma non c'è dubbio che i loro sottoposti siano zombi. E i loro sottoposti siamo noi, i dominati. Ecco, lo zombi è l'icona del popolo dominato, morto, e tenuto in vita da una scintilla. La voglia di non morire, forse. Non si ostinano a morire, continuano a campare anche se quella non è più vita, è sopravvivere, a malapena. Ma non lo sanno.
Magari tutte queste sono chiacchiere a vanvera. Eppure sono sicuro che se facessi un giro nel reparto di saggistica di una grossa libreria, troverei anche più di un libro sull'argomento. Vorrei davvero sapere cosa li rende così interessanti, un genere intramontabile, un successo intergenerazionale. Proverò a documentarmi, un giorno o l'altro.