Durante il volo di andata, sull'aereo ci hanno servito dei biscottini. Il volo era Alitalia, e costava tipo cinque volte un volo Ryanair per Londra. Il prezzo elevato però ci ha permesso di godere di piccoli lussi: il posto prenotato (niente corsa al sedile appena aperte le porte), la televisione tre pollici che sparava pubblicità inutili e quiz per tutto il volo, e lo snack gratuito. I biscottini in questione, i Frolletti, erano gustosi. Per essere la sottomarca di una sottomarca da discount sconosciuta, si intende. Sotto il nome si leggeva: "no trans fat - no preservatives - all natural - suitable for vegetarians" roba che una traduzione alla buona avrebbe potuto trasformare nell'annuncio di un porno. Il caffé-brodaglia è stato il primo assaggio di estero della mia piccola vacanzetta.
La fiera del libro non è stata la grande sorpresa che mi aspettavo. Dislocata all'interno di enormi e moderni padiglioni ben collegati fra loro, praticamente tutte le maggiori case editrici del mondo avevano un loro stand nel quale accoglievano gli ospiti e mostravano loro le novità e i grandi successi. Purtroppo a parte guardare, non si poteva fare nulla. Abituato a vagare per altre fiere, in cui il lato commerciale è predominante (Torino, Lucca, Roma), non mi spiegavo perché mai una casa editrice dopo aver allestito un costosissimo stand e accolto milioni di spettatori, non potesse vendere al pubblico i propri libri. Oltretutto, qualche casa editrice lo faceva, ma era l'eccezione. Così ho vagato per centinaia di stand ben organizzati, che presentavano novità editoriali interessanti, in tutte le lingue del mondo. Erano presenti le case editrici giapponesi con tonnellate di manga in lingua originale, e c'era anche la DC comics e la Dark Horse nonostante in contemporanea in quei giorni si svolgesse anche il New York Comicon. E poi c'erano anche molti editori italiani. Ma dopo aver percorso chilometri nei labirinti della fiera, trovarsi a sfogliare un bel libro sapendo che tanto non lo si poteva acquistare, non era il massimo.
La fiera del libro non è stata la grande sorpresa che mi aspettavo. Dislocata all'interno di enormi e moderni padiglioni ben collegati fra loro, praticamente tutte le maggiori case editrici del mondo avevano un loro stand nel quale accoglievano gli ospiti e mostravano loro le novità e i grandi successi. Purtroppo a parte guardare, non si poteva fare nulla. Abituato a vagare per altre fiere, in cui il lato commerciale è predominante (Torino, Lucca, Roma), non mi spiegavo perché mai una casa editrice dopo aver allestito un costosissimo stand e accolto milioni di spettatori, non potesse vendere al pubblico i propri libri. Oltretutto, qualche casa editrice lo faceva, ma era l'eccezione. Così ho vagato per centinaia di stand ben organizzati, che presentavano novità editoriali interessanti, in tutte le lingue del mondo. Erano presenti le case editrici giapponesi con tonnellate di manga in lingua originale, e c'era anche la DC comics e la Dark Horse nonostante in contemporanea in quei giorni si svolgesse anche il New York Comicon. E poi c'erano anche molti editori italiani. Ma dopo aver percorso chilometri nei labirinti della fiera, trovarsi a sfogliare un bel libro sapendo che tanto non lo si poteva acquistare, non era il massimo.
Nei giorni successivi ho visitato la città. Solo una volta mi sono infilato in un museo (ne è valsa la pena), negli altri ho vagato per parchi e per strade ammirando Francoforte dall'interno. Ho notato che negli autobus tedeschi è vietato dare pizzicotti sul sedere (almeno così mi è sembrato giusto interpretare quello strano cartello appeso alle porte). La sera ho mangiato sempre allo stesso locale, scoperto negli anni precedenti dai veterani della Fiera, e rivelatosi in effetti una combinazione entusiasmante di buona cucina e prezzi modici. Ho assaggiato la specialità di Francoforte (salsicce, polpette di fegato, braciola di maiale lessa, patate e crauti) e le altre sere ho esplorato altri due piatti deliziosi. L'ambiente era molto chiassoso, una grossa stanza piena di lunghi tavoli di legno ai quali ci si accomodava un gruppo di fianco al prossimo, ma si trattava di quel chiasso che fa ambiente.
Non c'erano megaschermi sintonizzati sui video di mtv né sulla partita di calcio. D'altro canto in televisione non si parlava dell'ultimo calciatore che si è accoppiato con l'ennesima velina, o delle orge organizzate dal presidente del consiglio, e non replicavano per la diciassettesima volta il commissario Rex, né affidavano la serata a trasmissioni colme di fenomeni da baraccone e canzonette idiote. Accendevi la televisione e ci trovavi telegiornali che parlavano della Fiera del Libro (che in Germania è un evento, come da noi Sanremo, e dico tutto). Oppure talk-show in cui si discute ordinati su cosa significa bene comune e progresso, senza lanciarsi in faccia statistiche e sparare cazzate. Nei telegiornali ampio spazio alla cultura. Seguendone uno, sono venuto a sapere che a Roma i soliti tre violenti hanno dato fuoco a una macchina e rovinato una chiesa, oscurando così da tutti i media la marea di gente che quella domenica protestava pacificamente contro l'economia dissennata dei nostri governi. Non ho controllato quasi mai la posta (nonostante negli Starbucks e in molti altri posti internet sia gratuito e accessibile a tutti).
Sono stato anche a Heidelberg, una graziosa città a un'ora da Francoforte. Probabilmente l'avrei apprezzata di più se non fosse stato un sabato pieno di gente e durante il quale non avevo assolutamente voglia di uscire. Le vie turistiche della città erano gremite di persone, al punto che non avevo voglia neppure di salire a visitare il castello. Poi ci siamo saliti e lì ho scattato qualche foto della città dall'alto (a proposito, sto caricando le mie foto sul mio album di Flickr, quindi se avete tempo e voglia potete vederle qui). Heidelberg è famosa anche per la sua università, soprattutto per le scoperte scientifiche. Il padre del becco bunsen ha una piazzetta dedicata. Sono segnalate le case dove sono avvenute le più importanti scoperte scientifiche del passato, e nel complesso si vede che è una città molto universitaria (tanti studenti ovunque a rinverdire le piazze). Durante il viaggio di ritorno siamo stati approcciati da un ragazzo tedesco che vendeva preservativi e/o cioccolatini a un euro per pagarsi la festa di addio al celibato (le spogliarelliste non te le paga papà). Per bilanciare il karma, alla stazione ci siamo imbattuti anche in un ragazzo italiano che lavorava come pizzaiolo alla Fiera, e che ci ha chiesto cinque euro per il biglietto del treno perché "non gli funzionava la postepay".
Comunque nel complesso, Francoforte mi è sembrata più adatta a me stesso. Più grande, più moderna, più al servizio del cittadino. Il piccolo borgo storico vicino al duomo è sufficiente a ricordarci che siamo in una città storicamente notevole, nonostante i profili dei nuovi altissimi palazzi di vetro si innalzino alle spalle degli edifici più antichi. E l'ultimo giorno ho visitato anche i giardini della città. Si paga l'ingresso, ben 5 euro, ma questo forse non fa che tenere lontano gli adolescenti col freesbee dalle aiuole seminate, ed evita che le signore portino i cani a cagare sui prati. Inoltre il giardino botanico era davvero molto ben curato, con serre al coperto che contenevano collezioni di piante dai posti più esotici e una serie di laghetti e fontane che allietavano il passeggio degli ospiti. Insomma veniva da dire: soldi ben spesi. Ho fatto molte foto ai fiori e agli animali, giacché la luce era ottima quel giorno e i colori risultavano vividi.
Prima di tornare non ho potuto fare a meno di dare l'ultimo saluto alle deliziose torte dello Starbucks, nonché ai wurstel con senape serviti nei chioschi all'aperto. Ed eccomi di nuovo in Italia, immerso nel mio quotidiano sfacelo.
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