
sabato, luglio 17, 2010
giovedì, giugno 24, 2010
Opinioni eretiche
In un incontro precedente, sempre a Torino, la sera del 19 settembre 2006, a cena Saramago mi aveva detto: “il mondo sarebbe molto migliore se fossimo tutti atei”. Gli feci scrivere quella frase su un foglio, che tengo da allora appeso nel mio studio. Non mi stupiscono, dunque, gli ottusi e sgraziati necrologi dell’Avvenire e dell’Osservatore Romano contro uno scrittore che non ha mai fatto mistero di pensare della religione tutto il male possibile.
Mi stupiscono invece i più subdoli elogi postumi di altri media “laici” a un pensatore comunista che, in vita, andava sistematicamente a testa bassa contro tutto il sistema che essi quotidianamente difendono. Ora che non c’è più lo schermo di un premio Nobel a difendere e proteggere certe idee, sarà più difficile continuare a leggerle, sia pure magari soltanto citate o bollate come “opinioni eretiche”.
domenica, giugno 20, 2010
Kennedy e il PIL

Il PIL comprende anche l'inquinamento dell'aria e la pubblicità delle sigarette, e le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine dei fine-settimana.
Il PIL mette nel conto le serrature speciali per le nostre porte di casa, e le prigioni per coloro che cercano di forzarle. Comprende programmi televisivi che valorizzano la violenza per vendere prodotti violenti ai nostri bambini. Cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari, si accresce con gli equipaggiamenti che la polizia usa per sedare le rivolte, e non fa che aumentare quando sulle loro ceneri si ricostruiscono i bassifondi popolari.
Il PIL non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia, la solidità dei valori familiari, l'intelligenza del nostro dibattere. Il PIL non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al nostro paese. Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta."
martedì, giugno 15, 2010
Mazze da baseball e donne incinte

di Luca Telese
Accade nell’Italia delle guerre tra poveri. A Torino un extracomunitario, clandestino – maghrebino – massacra, a colpi di mazza da baseball una donna, italiana, dopo averla accusata di molestarlo, con i suoi abiti succinti.
È un esercizio violento e sadico, che suscita in noi emozione e rabbia. L’extracomunitario
manda la donna in ospedale: l’ha sfigurata, le ha fracassato sei costole. Foto segnaletiche
del criminale: aria torva, sguardo cattivo, pelle olivastra. Lei è viva per miracolo. Scopriamo sconcertati che era in attesa: ha perso il suo bimbo. Tutto il paese unito nel lutto. Questa gente se ne torni a casa sua, a delinquere.
Fiaccolata della Lega: partecipano molti cittadini non politicizzati, persino un sindaco di centrosinistra. Ci saremmo voluti essere pure noi, maledetti barbari. Un prete della Caritas difende il maghrebino: “Aveva problemi psichici”. Gli devastano l’ufficio: se li portasse in convento, questi teppisti. Tutti i tiggì aprono con le immagini strazianti del funerale. Una
piccola bara bianca, dirette dei cronisti commossi, lacrime dei fratellini. Il nonno in Chiesa: “Non perdonerò mai!”. Come dargli torto? Durante un Porta a Porta sull’impossibilità del perdono, brucia un campo nomadi, in periferia. Sbagliato, certo. Ma era abusivo.
A furia di essere buoni, distruggeranno la nostra civiltà, ci imporranno codici tribali, disprezzo per le donne.
Anzi no.
La mazza da baseball era in mano a un italiano. Un ultras della Juve. La madre, poi, era Rom. Aveva chiesto l’elemosina. Il bimbo, in fondo, era poco più di un feto. Forse l’aborto non c’entra con la mazza. È successo ieri. Torino, 14 giugno 2010. Perché drammatizzare? Ci sono notizie che non meritano la prima pagina.
da Il Fatto Quotidiano del 15/06/2010
venerdì, giugno 11, 2010
Tales from the Infinite Staircase

"[...] the mood in a planescape adventure is very important. Nothing should be exactly as it seems. Planewalkers need to keep an open mind about everyone and everything. Enemies could be at any and every turn - but so could allies if a basher plays her cards right. Nothing's cut-and-dried, nothing's black-and-white.
[...] For a planewalker, it matters less who and what a cutter* is than what she believes. Events on the planes are governed as much or more by belief than anything else. Belief literally is power."
- Monte Cook, Tales from the Infinite Staircase
*cutter = inesperto, novizio dei piani
giovedì, giugno 03, 2010
L'importanza dello sfondo

Come prima di ogni cosa. Con mille e un sogno dietro di noi e senza azione.
Non posso immaginare di conoscere altre beatitudini se non questa: divenire colui che inizia. Uno che scrive la prima parola dietro a un punto di sospensione lungo interi secoli.
Mi viene in mente, pensando a questa osservazione, che noi, come i veri primitivi, continuiamo ancora a dipingere gli uomini su sfondo d'oro. [...] E' comprensibile, per riconoscere gli uomini fu necessario isolarli. [...] Pensa alla vita stessa. Ricorda che gli uomini hanno grandi parole e i loro innumerevoli gesti sono sempre pieni di enfasi. Se solo per un istante fossero quieti e ricchi come i bei santi dei dipinti medievali, vi troveresti dietro il paesaggio che è tutt'uno con loro.
[...] E poi ci sono istanti in cui l'uomo si staglia innanzi a te dal suo splendore, chiaro e silenzioso. Sono rari momenti di festa che mai potrai dimenticare. Da quell'istante lo amerai per sempre: con le tue mani, pervase di tenerezza, ti sforzi di ripetere i contorni della sua personalità, così come l'hai riconosciuta in quell'ora.
[...] E l'arte non ha fatto altro che mostrarci il turbamento in cui spesso ci troviamo. Ci ha recato angoscia invece di calma e di silenzio. Ha dimostrato come ciascuno di noi viva su un'isola diversa; e tuttavia ogni isola non è abbastanza lontana dall'altra perché si possa stare in tranquilla solitudine. Uno può disturbare l'altro, terrorizzarlo, perseguitarlo con un giavellotto - nessuno, però, può aiutare nessuno.
[...] Quando due o tre persone si riuniscono, non si può dire che siano insieme. Sono come marionette appese a fili tenuti da mani diverse. Solo quando un'unica mano li regge, su tutti scende un sentire condiviso che li muove all'inchino o alla lotta. [...] Solo in quell'ora di comunione, nella comune tempesta, all'interno della stanza in cui si incontrano, finiscono per trovarsi. Solo quando dietro di loro c'è uno sfondo, entrano finalmente in relazione.
Sia il canto sussurrato di una lampada o la voce di una tempesta, sia il respiro della sera o il gemito del mare intorno a te, sempre veglia alle tue spalle una vasta melodia intessuta di mille voci, dove da un punto all'altro il tuo assolo trova spazio. [...]
Anche noi qui davanti siamo così. Struggenti nostalgie che dispensano benedizioni. La nostra pienezza si compie lontano, nello splendore degli sfondi. Dove è volontà e movimento. Dove si narrano storie di cui noi siamo i titoli in ombra. [...] Noi siamo là mentre qui, in primo piano, muoviamo avanti e indietro.
Ricorda le persone che hai trovato raccolte, senza che attorno a loro vi fosse un'ora condivisa. I parenti, ad esempio, che si incontrano al capezzale di morte di una persona cara. Ciascuno vive in un proprio ricordo. Dall'uno e dall'altro le loro parole scivolano via, ignorandosi reciprocamente. Disorientati in un primo momento, le loro mani non si sfiorano, finché, dietro, il dolore si fa grande. Si siedono, chinano il capo e tacciono. Frusciando passa su di loro un mormorio, come una foresta, e sono vicini come non mai.
E se non è un grave dolore a gettare su di loro un unanime silenzio, gli uomini ascoltano la potente melodia dello sfondo ciascuno più o meno intensamente. Molti ormai non l'avvertono più. Sono come alberi che hanno dimenticato di avere radici e credono che il frusciare dei rami sia la loro vita, la loro forza. Altri non hanno tempo di prestarle ascolto. Non tollerano che un'ora li circondi. Sono questi, poveri senza patria, che anno perduto il senso dell'esistenza.
- da Rainer Maria Rilke, Appunti sulla melodia delle cose, Passigli Editore
...Questo mentre viene giù così tanta pioggia da far dimenticare a tutti che esiste un sole. Bello, quand'è così. :)
sabato, maggio 29, 2010
Amilcare

C'era un rumore fastidioso sullo sfondo. Amilcare si tirò sù dalla sedia sdraio dove stava facendo parole crociate, sul balcone, cercando invano di sfuggire all'afa di quel pomeriggio estivo. Con le dita dei piedi cercò in terra le ciabatte, mentre arcuando la schiena si sporgeva per capire da dove provenisse quello stridio insopportabile.
«Tatiana! - gridò raspandosi la gola con la sua voce rauca - Tatiana dove sei?»
La sua badante, Tatiana, era una ragazzotta straniera attorno alla trentina, che probabilmente non pesava meno di centocinquanta chili. Alta il doppio di Amilcare, era abbastanza robusta da sollevare il vecchio pensionato come se fosse un sacco di piume. Tatiana si prendeva 400 euro al mese, e trascorreva con Amilcare tutte le mattine, cinque giorni a settimana. Amilcare aveva imparato a non curarsi di lei, non le parlava e non le lasciava da fare le cose: Tatiana sembrava sapere tutto quello che c'era da sapere su come si gestisce una casa. Sapeva dove mettere le cose, quali pulizie fare, come sistemare i vestiti, cosa comprare per pranzo, e come cucinarlo. A fine mese prendeva i suoi 400 euro, e Amilcare si era abituato a lei tanto quanto all'assenza della sua cara moglie. Tatiana forse aveva lasciato la televisione accesa, oppure stava ascoltando qualcosa col suo i-pod e il brusio della musica a bassissimo volume, rimbombando nel suo apparecchio acustico, finiva per creare quel fischio. Forse.
«Tatiana? ...sei ancora in casa? Tatiana!» Ma nessuna risposta. Amilcare era solo. Con la mano tremante si tolse l'apparecchio dall'orecchio destro. Forse era difettoso. Il silenzio calò attorno a lui, quel silenzio naturale che lo cullava la notte quando era solito togliere quella scatoletta rosa da dietro l'orecchio per aiutare il sonno a trovare la strada di casa.
Ma niente da fare: quel suono stridulo, costante, trascinato... era ancora lì, ancora nella sua testa, ronzando continuamente sembrava rimbombargli fra le tempie senza nessuna intenzione di smorzarsi.
Amilcare barcollò per un attimo quando si sollevò in piedi. Poggiò l'apparecchio sul tavolinetto di vetroresina bianca, accanto al fodero degli occhiali e alla ciotolina con le pillole da prendere prima di cena. Scivolando sulla suola delle pantofole, raggiunse l'interno della casa. Un odore misto di cif e legno stagionato riempiva il soggiorno, colmo di mobili d'epoca che i giovani d'oggi si sognavano di comprare, all'Ikea. Il suono sibilava con più acutezza adesso, nonostante Amilcare avesse tolto l'apparecchio acustico. Forse era solo il silenzio, che lo rendeva ancora più insopportabile. Appoggiandosi a un comò quasi fece cadere la bomboniera del matrimonio di suo figlio, pietrificata su quel ripiano da vent'anni.
«Ah... forse ho capito... forse ho capito, razza di birbaccioni...» gongolò il vecchietto, tornando sui suoi passi e dirigendosi verso l'ampio ingresso. Col cazzo che potevano permetterselo, i giovani, un ingresso come quello. Bello ampio, con lo specchio, l'attaccapanni, la cassapanca e il quadro di un ciliegio in fiore. Adesso erano tutti openspace. O si entrava direttamente nel salotto. E chi poteva permettersi il lusso di un ingresso. Amilcare invece ce l'aveva. Frugò nella vestaglia a scacchi e tirò fuori la chiave dello sgabuzzino. «Mortacci vostra...» sussurrò mentre si chinava per infilare la chiave nel piccolo foro della porticina di legno. Era laccata di bianco, nascosta a due passi dall'ingresso, su un lato del corridoio. Alta appena un metro, Amilcare ci giocava con suo figlio quando lui era piccolo e si divertiva a nascondersi per casa. Quello era il suo nascondiglio preferito, e Amilcare faceva finta di non trovarlo per un sacco di tempo, aggirandosi per casa e bofonchiando “dove diamine si sarà cacciato quel ragazzino?”... e dallo sgabuzzino lo sentiva ridere. Che bei tempi.
Non c'era dubbio, il suono fastidioso veniva da là dentro. La chiave fece un paio di giri, Amilcare aprì la porticina. Ed eccolo lì. Un telefono cellulare acceso che col suo schermo luminoso illuminava debolmente l'angusto spazio davanti a lui. Tatiana doveva essersi dimenticata di perquisire l'ultimo rompiscatole, prima di gettarlo dentro. Amilcare si chinò in avanti, subendo in un istante tutti i dolori che la sua malandata schiena avrebbe avuto piacere di fargli provare in un pomeriggio intero. Raccolse il cellulare e iniziò a pigiare i tastini luminosi, azzeccando a caso il pulsante per spegnerlo. Il suono cessò.
Dal fondo della stanza strisciò verso la porticina il signor Romualdo. O Ronaldo? Qualcosa del genere. Coperto di polvere, denutrito, spettinato, ma ancora di aspetto rispettabile con la sua giacca scura e la cravatta rossa. I polsi legati e le caviglie bloccate gli impedivano di muoversi in altro modo. Aveva gli occhi gonfi di lacrime. Provò a bofonchiare qualcosa, ma con quello straccio infilato nella bocca era difficile farsi comprendere. Amilcare provò a interpretare.
«No, non la cambio la mia cazzo di tariffa della luce!» Gli rispose, secco.
Romualdo mise la testa fuori dallo sgabuzzino mugugnando più forte. Amilcare lo afferrò per i capelli e lo spinse di nuovo dentro.
«...ah era il contratto del telefono? ...o del gas? ...non importa! Non me ne frega un cazzo! Lasciami in pace, capito?»
Richiuse veloce la porticina, ignorando i colpi che provenivano dall'interno. La porticina era robusta, legno massello, mica come quelle porte di compensato che mettevano al giorno d'oggi nelle case fresche di costruzione. Amilcare si spostò a fatica fino in cucina, gettò il cellulare nella spazzatura, e si voltò per tornare indietro. Notò un biglietto giallo attaccato sul frigo. Strizzando gli occhi lo lesse. Diceva: “Finisco domani il testimone di Geova, vado a prendere Wadim che esce prima – Tatiana”.
«Eh la fretta! – borbottò Amilcare – E poi lo vediamo tutti come finisce. Che le cose si fanno a metà, si lasciano in sospeso...»
Dondolando precariamente tornò sul terrazzo. L'afa pomeridiana stava lasciando il posto alla frescura della sera. Quello era il momento migliore per godersi un po' d'aria in veranda. Che le case di adesso non ce le hanno più le verande, e nemmeno i terrazzi spaziosi come ce l'aveva casa di Amilcare, perché non conviene più farle. Chi se le può permettere? Il vecchietto si accasciò sulla sedia sdraio e allungò le dita per raccogliere l'apparecchio acustico dal tavolino. Poi ci ripensò. Tatiana aveva lasciato il lavoro a metà, non gli andava di sentir gemere e raspare sul legno per tutta la notte. Silenzio ci voleva. Altro che contratti della luce o del telefono, quello vendeva religione... a saperlo prima, Amilcare gli avrebbe offerto un bicchiere d'acqua. Inforcò gli occhiali, stese la testa e scacciando via altre riflessioni amare, lesse con attenzione la definizione del 14 verticale.
Magliette da vero geek
E queste tre magliette sono fichissime! :D



venerdì, maggio 28, 2010
Header
domenica, maggio 23, 2010
Leopardi

giovedì, maggio 13, 2010
Il perdente radicale

sabato, aprile 03, 2010
Dodici dita

Dodici dita si guardò le mani. Aveva solo dieci dita, come tutti. Con calma e dedizione si abbandonò ai gesti automatici che lo avrebbero condotto a rimontare la sua vecchia pistola.
Per prima cosa, il popolo. Quella massa di esseri brulicanti che schiamazzavano nelle strade attorno a lui. Mercanti, artigiani, contadini... Vecchi e giovani, uomini e donne. Scendendo nello specifico qualcuno di loro poteva essere interessante, forse abbastanza da condividere con lui qualche pena, ma bastava salire un po' più in alto sulla torre, allargare un po' la visuale, defocalizzare, rifocalizzare, e cosa si otteneva? Marmaglia. Si può imparare a vedere tutto dall'alto, basta abbandonare ogni curiosità, e tradire la fantasia. Improvvisamente sono tutti uguali. Così li percepiva, Dodici Dita.
Dodici dita incastrò velocemente tutti i pezzi dell'arma. Una serie di click lo rassicurò sul giusto posizionamento degli ingranaggi, ma non ce n'era bisogno. Aveva smontato e rimontato la pistola centinaia di volte, centinaia.
Il punto di vista delle pietre. Le pietre che lastricavano l'intera via erano state posizionate lì dai grandi re del passato, e avevano attraversato i secoli, in parte sepolte dalla terra, in parte spaccate dal tempo, in parte levigate dal continuo passaggio. Ognuna di quelle pietre era un testimone logoro dell'insignificanza dell'esistenza. Quante volte avranno ascoltato i discorsi delle persone che distrattamente le calpestavano? Discorsi sulla politica, sulla famiglia, sul bene e sul male, ogni volta pronunciati come se fossero cose importanti, fondamentali, addirittura cose vitali. Sorrise. Vitali, ma non per le pietre. Forse per quelle brevi esistenze. Secoli dopo qualcuno rifarà gli stessi discorsi, e le pietre restano lì, costrette a risentirli.
Spinse il cristallo nella canna. Energia luminosa si sprigionò dalle superfici lisce della scheggia vetrosa, prima che scomparisse nel buio del cilindro di essedreel. Senza quel cristallo, l'arma non avrebbe sparato. Il cristallo era il cuore dell'arma.
La via religiosa alla salvezza. Alcuni religiosi si muovevano tra la folla, il corpo ammantato di vesti costose, nonché di sicurezze inventate. Lungo la strada incontravano altra gente, anime impaurite e riverenti, che elargivano sorrisi in cambio di benedizioni. Buone maniere in cambio di serenità. Non è male come scambio.
L'arma vibrò in maniera quasi impercettibile. Il metallo che assorbiva l'energia del cristallo. Dodici dita infilò una mano in tasca e ne estrasse una manciata di proiettili, grossi pallettoni argentati. Un paio caddero a terra, scivolarono seguendo le spaccature nelle assi del pavimento e finirono per infilarsi sotto il mobilio spartano della stanza. Dodici dita vuotò la mano in una ciotola di legno, su uno sgabello, vicino alla finestra.
La sordità alle grida del mondo, laceranti e stridule, acute e altissime, angoscianti e terribili.
Perché le orecchie delle altre persone non sanguinavano? Dodici dita lo sapeva. Perché erano nati sordi. Tutti quanti. E per non sentirsi inadeguato Dodici dita aveva cercato di sfondarsi i timpani con un chiodo da staccionata all'età di diciassette anni. Ora ne aveva trentasette, era sopravvissuto per tanti anni a quei lamenti strazianti grazie al fatto che ci era riuscito, anche se solo a metà. L'orecchio destro non ascoltava più, nulla. Nemmeno il fragore della sua arma, quando l'avvicinava al volto per fare fuoco.
I proiettili scorrevano all'interno della pistola, come cubi d'acqua congelata in una gola di ferro. Dodici dita distese il braccio e sfiorò col dito il grilletto. Uno scatto, il ritrarsi istantaneo di una molla, una cuspide di essedreel avrebbe scalfito il cristallo, l'energia avrebbe percorso la canna, il proiettile sarebbe stato vomitato fuori dal buio. Una pallina lucente che schizza nell'aria incurante di tutto quello che attraversa. PAM. Cielo azzurro, drappo di una bandiera, ancora cielo azzurro, lembo di una tunica, pelle, cranio, cervello, cranio, pelle, cielo azzurro... pietra angolare della torre. Così sarebbe andata.
E infine il denaro. Le monete d'oro, i lingotti d'argento. Gemme, pietre preziose, diamanti. Stoffe pregiate, vesti di lusso, vini speziati, portate deliziose, droghe esotiche, cortigiane e feste senza calendario. Dodici dita aveva rinunciato a tutto questo tanto, tanto tempo fa. Strisciava tra i vicoli, come un grosso topo carognoso, per non essere visto e non vedere. Sapevano dove trovarlo, all'occorrenza, sapevano come chiamarlo, se avevano bisogno di lui. Lui non aveva bisogno di niente, di niente e di nessuno. Solo di una sentenza di condanna. Perché le persone emarginate come lui potevano permettersi di giudicare la società, ma non di condannarla. Era sempre stato così, e così sarebbe stato per sempre.
Tirò il grilletto con forza. Dodici dita.
domenica, febbraio 21, 2010
Amico freddo
lunedì, febbraio 08, 2010
Piccoli capolavori incompresi
giovedì, gennaio 21, 2010
Altri racconti brevi...

Druido
“E voi chi siete?” Domandò il Baluardo.
Davanti a lui si parava un elfo in armatura di cuoio, con le braccia e le gambe avvolte in grosse bende di lana, e una benda dello stesso tipo gli copriva la fronte e un occhio, probabilmente mancante.
“Mi chiamo Yash, sono il consigliere di Grenda.”
Rispose l'elfo. “E' con me.” Confermò Grenda, la custode del villaggio. Almeno un paio dei soldati che il Baluardo aveva portato con sé erano palesemente turbati dal fatto che Grenda si fosse presentata loro quasi completamente nuda, ma il templare non lo era affatto.
“Se queste sono le vostre usanze, a me sta bene.
Sono qui per chiedere che riapriate la via commerciale del bosco di Nood. Quello che è accaduto è sicuramente opera del vostro popolo. Gli alberi hanno formato una coltre di rami impenetrabili, e i vostri elfi ci intimano di tornare da dove siamo venuti. Questo è inammissibile.”
Grenda incrociò le braccia, come se fosse spazientita. Lanciò uno sguardo a Yash, e rispose:
“Volete che un sentiero nei boschi diventi una via carovaniera, questo non possiamo permetterlo. Il bosco non è d'accordo.”
Il Baluardo puntò il dito verso la custode:
“Quello che non volete è che la Chiesa di Sinth costruisca una cattedrale alle pendici dei monti
Salish, perché sarebbe troppo vicina al vostro territorio! Ecco qual'è la verità.”
“Anche sulla costruzione della cattedrale, il bosco non è d'accordo.” Rispose serafica Grenda.
“Non accetteremo ultimatum dagli eretici! - Tuonò il templare – Riapriremo la strada con la forza se necessario! Vedremo se il bosco sarà ancora contrario!”
Yash fece un passo avanti e agitò le dita nell'aria.
“Perché non glielo chiede?” Disse. Immediatamente gli alberi più vicini ai soldati si allungarono e li afferrarono, sollevandoli in alto fra le fronde.
Qualcuno, agitando la spada, riuscì a mozzare qualche ramo e a liberarsi. Gli altri gridavano presi dal panico. Il templare si guardò intorno, sembrava che la foresta non avesse altro desiderio che stritolarli.
“Credo... credo che costruire una chiesa così vicina al bosco non sia in effetti una buona idea! Vi prego lasciateli andare!” Piagnucolò. Yash abbassò le mani. Uno dopo l'altro i soldati caddero a terra con un tonfo. Il tempo di rialzarsi, ed erano già corsi via sparendo dalla vista degli elfi. Il Baluardo li seguì velocemente.
“Se torneranno, - disse Grenda allontanandosi – puoi spremerli e usare il loro sangue per abbeverare il terreno. Non mi interessa interloquire ancora con questa razza insignificante.”
“Si, mia signora.” Le rispose il druido, chinando il capo in segno di devozione.
Guardiano del Crepuscolo
Sir Perentar entrò nel dormitorio completamente coperto di sangue. Era sangue nero, viscoso, denso. Nessuno sapeva cosa aveva affrontato, ma qualsiasi cosa fosse era stata peggiore del solito. Si slacciò l'elmo e lo gettò sul pavimento. Una ferita profonda che dalla fronte scendeva fino al sopracciglio gli impediva di aprire l'occhio sinistro.
“Acqua!” Gridò.
Uno dei novizi recuperò di corsa un otre e glielo porse. Perentar lo sollevò in alto e lo svuotò sulla propria faccia. L'acqua scendeva inzuppando i suoi paramenti da templare, scivolando sotto l'armatura pesante, lavando via gli umori residui della battaglia. Uno dei guaritori, chiamato forse da un altro dei novizi, corse nella stanza. Quando vide la ferita, esclamò qualcosa sottovoce.
“Lasci stare la ferita sulla testa, Belgras. - Sussurrò Perentar mentre l'acqua ancora gli scendeva tra i capelli, neri e lunghi. - Quest'altra fa molto più male...”
Così dicendo slacciò lo scudo, che cadde a terra con clangore. Sollevò il braccio, mostrando uno squarcio nero che sembrava seguire la linea del costato. Un fiotto di sangue ne uscì immediatamente, dilagando sulla tunica zuppa.
“Sir Perentar, questa ferita richiede una cucitura e l'applicazione immediata di magia! - Balbettò con agitazione il guaritore. - Probabilmente una delle costole sarà spezzata, e il taglio è troppo profondo affinché si richiuda velocemente, anche con gli incantesimi adeguati...”
Sir Perentar strinse i denti e afferrò il guaritore per la collottola, sollevandolo quasi da terra.
“Ascoltami bene, Belgras: i miei compagni stanno morendo, là fuori. Lo senti il suono di questi corni? Presto saranno pronti a un nuovo assalto. Applica la tua magia, fai il meglio che puoi e risparmiami le tue preoccupazioni da isterico, io sono un Guardiano del Crepuscolo, la Dea Madre mi sosterrà!”
Belgras annuì terrorizzato. Non appena toccò di nuovo terra, iniziò a recitare formule di guarigione.
Guaritore
Il guaritore passò le dita sulle labbra della ragazza.
Erano secche e screpolate, ma nonostante questo una secrezione giallognola le fuoriusciva dalla bocca.
“Allora, Celan... vuoi darti una mossa? - Lo ammonì l'arciera alle sue spalle, che appoggiata alla porta si assicurava che nessuno la aprisse all'improvviso. -Dubito che Renni riuscirà a trattenere il padre della ragazza ancora per molto tempo. E hai visto la sguardo di Kaldrian? Secondo me sta per trasformarli tutti in aragoste...”
“Ho bisogno solo di qualche altro minuto, Tanis.”
Gli rispose Celan. Strappò le vesti della ragazza e cominciò a premerle l'addome. Era duro come se avesse inghiottito pietre. Esaminò la pelle con attenzione. Piccole macchie nere erano sorte attorno alle zone ghiandolari, sotto pelle.
“Perfetto. - Esclamò il guaritore rialzandosi. - Fai entrare il governatore. Cioè il padre. Veloce!”
Tanis aprì la porta. Al momento giusto, perché appena oltre la porta c'era il governatore, con il pugno alzato nel gesto di bussare. Dietro di lui Renni Kaldrian cercavano di giustificarsi per il fatto che fosse riuscito a passare.
“Non fa niente, ragazzi. - Disse Celan comparendo alla porta. - Ho risolto il caso. La ragazza aveva contratto il morbo di Gualsh, una malattia che solitamente è trasmessa dalla saliva dei lupi selvaggi. Dubito che il governatore o qualcuno del villaggio tenga lupi selvaggi in casa come animali di compagnia. Quindi il licantropo è Monique, la figlia del mercante di tessuti.”
Il governatore impallidì, poi riprese colore, poi deglutì, poi sgranò gli occhi. Il tutto nel giro di pochi secondi. Infine chiese:
“Cosa c'entra la figlia di Holdred in tutto questo?”
Renni si intromise: “In questi giorni abbiamo visto sua figlia, più di una volta, assieme a Monique... in atteggiamenti diciamo... promiscui? Si può dire?”
“Insomma si baciavano.” Tagliò corto Kaldrian.
“Esatto! - Esclamò di nuovo il guaritore. - Monique le ha trasmesso il morbo di Gualsh! Monique è un licantropo, e come tale ha contratto il morbo da altri lupi selvaggi. Monique è colei che state cercando.”
“Ma... Ma... - Balbettò il governatore. - Mia figlia? Adesso sta bene?”
“No, è morta. - Disse Celan. - Ma tranquillo, non è grave.”
Immagine: James C. Kimball - all rights reserved
mercoledì, gennaio 13, 2010
Il Mestiere dell'Avventuriero

Beh questi tre racconti di pochissime righe parlano di un avventuriero, di un combattente e di un incantatore.
Avventuriero
“Da dove provieni, straniero?” Non fu la voce rauca del corpulento avventore che infastidì Nikopol, né la domanda. Fu la schiuma. La schiuma della birra, che gli colava ai lati della bocca aggrappandosi alla barba ispida. L'omaccione se ne accorse e si pulì il volto con il braccio. Rimaneva sudicio abbastanza da meritarsi un posto d'onore al bancone di quella bettola. “Vengo da Keremish.” Rispose Nikopol. “Keremish? ...ormai solo i gabbiani abitano Keremish. O gli sciacalli. Tu cosa sei? Un gabbiano o uno sciacallo?” Nikopol scostò il mantello di lana cotta che gli copriva l'armatura di cuoio, e passò la mano su una delle sue spade. Odiava essere scambiato per un ladro, talvolta era necessario ribadire il concetto. L'uomo intravide la lunga lama appesa alla cintura, raccolse il suo boccale e si allontanò dal bancone, pallido in volto. “Quindi sei un avventuriero...” Affermò l'oste, poggiando davanti a Nikopol un bicchiere di liquore nero e denso. Nikopol lo strinse tra le dita, lo portò alle labbra e lo mandò giù tutto d'un fiato. “Sono un gabbiano. E uno sciacallo.”
Combattente
La folla sembrava essersi accalcata velocemente, lasciando perdere qualsiasi faccenda. I mercanti dietro i bancali colmi di merce cercavano si sollevarsi per scorgere anche loro qualcosa di quello che stava accadendo. Il capitano Redmill si fece largo mostrando il simbolo delle autorità di Wallace. Fate passare! State indietro!” continuava a ripetere, ma fu presto costretto a scostare con forza i curiosi. Al centro della piazza giacevano quattro dei suoi uomini, privi di sensi. Uno galleggiava nell'acqua della fontana, un'altro doveva aver sfondato la ruota di un carretto cedendovi sopra. Ancora ansimante per la battaglia, una ragazza in armatura ruotava una lunga spada intimando a tutti di stare alla larga. Calma ragazza! Calma! - disse Redmill avvicinandosi con le mani protese verso di lei - Sono il capitano Reginald Redmill della guardia cittadina di Wallace... deponi le armi e spiegami cosa è successo!” La combattente abbassò l'arma. Gli occhi azzurri ancora brillavano per l'ardore della mischia. "Mi chiamo Lenora, sono una volontaria dell'ordine di Andrapond. E spero che non dover spiegare anche a lei quali sono i livelli minimi di galateo che mi aspetto dalle autorità cittadine.”
Incantatore
La figura che avanzava tra le macerie era quella di un giovanotto appena trentenne, con barba incolta e capelli rossicci terribilmente in disordine. Non che fosse importante, in quel momento, perché gli unici che potevano notarlo erano tre briganti piuttosto arrabbiati. “Tu! - tuonò uno di loro – Sei stato tu a uccidere mio fratello Kurme e i suoi compagni?” “Il mio nome è Dumrod – gli rispose il ragazzo, come se non avesse sentito la domanda, e fosse invece intenzionato a mostrare a quella canaglia un minimo di buone maniere – e se quel ladro e stupratore di contadine che ho incenerito sulla strada era tuo fratello Kurme, allora sì, sono stato io. Ma uno dei suoi compagni è fuggito in questa direzione. Hai per caso visto dov'è andato?”
Il brigante sfoderò una pesante mazza chiodata e strinse i denti fino quasi a farsi sanguinare le gengive. I suoi due compari fecero lo stesso, facendo balenare al sole delle lunghe lame ricurve.
“Sei morto, idiota!” Gridò quello con la mazza, e si scagliò in avanti nel tentativo di colpirlo. Ma la mazza attraversò il corpo di Dumrod come se si trattasse di una figura intangibile.
“Prima di vibrare il colpo verso qualcosa, - sussurrò una voce alle loro spalle – assicuratevi che non si tratti di una illusione.”
L'ultima cosa che videro fu un bagliore elettrico, che scaturiva dalle mani di quel giovanotto appena trentenne, con barba incolta e capelli rossicci terribilmente in disordine.
martedì, gennaio 12, 2010
Ricomincio da Lo Zeist
Ricordo che quando uscì la 4a edizione di D&D, il buon Monte Cook rifletté su come la 3a edizione con il suo d20 system avesse dato un impulso incredibile all'editoria di giochi di ruolo, generando un'ondata di nuovi giochi, risollevando così un settore che sembrava ormai destinato a soccombere. Ebbene secondo Monte la 4a edizione aveva invece troncato questo proficuo proliferare di idee, imponendo se stessa e stramazzando ogni tentativo di concorrenza, o di proposta alternativa. Io credo che invece sia proprio il contrario.
Quando uscì la 3a edizione, è vero che il mercato dei GdR esplose, ma per il 90% si trattava di prodotti d20 system, prodotti che sfruttavano un sistema di regole innovativo e geniale, oltretutto free grazie alla open-game licence. Insomma tante idee, ma tutte figlie dello stesso padre.
La 4a edizione invece ha riscritto una regola: il d20 system (quello nuovo) è D&D. Il nuovo sistema della 4a edizione non può essere applicato a nulla, è costruito attorno all'idea heroic-fantasy di cui D&D è l'incarnazione suprema. E infatti non mi pare di aver notato grosse produzioni basate sul sistema della 4a edizione.
Invece, i game-designer hanno ripreso a sviluppare nuovi giochi con nuovi regolamenti. La Paizo ha ripreso il d20 della 3a edizione e ci ha basato la sua linea di giochi di ruolo fantasy, Pathfinder. La bioware ha chiesto alla Green Ronin di sviluppare un nuovo sistema di regole per basarci il suo recente capolavoro, Dragon Age - Origins, e la Green Ronin pubblicherà il manuale cartaceo. Molti dei giocatori della Gilda del Drago Nero hanno riscoperto vecchie glorie e nuovi grandi giochi di ruolo a cui giocare, in alternativa a D&D, come Rolemaster, il Richiamo di Cthulhu o Sine Requie.
Insomma mi sembra che la 4a edizione (forse in maniera del tutto involontaria) in qualche modo abbia anch'essa contribuito a risvegliare il mercato del GdR. E io faccio parte di questo risveglio. Grazie ai miei amici (Marco Cosentino in primis, che pare si occuperà dei disegni in maniera del tutto volontaria) sto gettando le basi di Lo Zeist - Gioco di Ruolo Fantasy-Horror. C'è ancora molto lavoro da fare, ma in questi giorni vorrei usare il blog come una sorta di "diario" di produzione. Non annoierò nessun eventuale lettore con discussioni sulle regole, però lascerò di tanto in tanto qualche racconto e qualche commento.
Questo è un breve raccontino introduttivo, che apparirà all'inizio del libro.
La caverna si inoltrava nel buio, le pareti di roccia
sembravano distendersi e fondersi con l'oscurità, come
se questa fosse nebbia. Nikopol distese il braccio
davanti a sé gettando luce nell'ampio spazio
sotterraneo. Qualcosa di viscido scivolò via
velocemente dall'angolo più distante del terreno.
Stalagmiti lorde di sangue incrostato si sollevavano dal
terreno, proiettando ombre allungate sui numerosi
cadaveri che erano stati ammucchiati un po' ovunque.
Il fetore di morte era nauseante. Nikopol fece cenno
agli altri di venire avanti. Oriss fu la prima ad
avanzare, attirata da alcuni strani simboli incisi sulle
rocce più vicine.
“E' antico Kalidal, la lingua dei draghi.” Disse.
Il ramingo raggiunse Nikopol, e lo aiutò a esaminare
quel che restava dei corpi, l'incantatrice colpì il una
pietra con la sua spada e questa prese a illuminarsi
aiutando Oriss a decifrare la scritta.
“Sembra che sia stata officiata un'offerta... Sangue per
la signora del buio... Qualcosa del genere.”
“Sono stati sgozzati e gettati a terra, uno dopo l'altro. -
spiegò Dougal, girando con la lunga spada alcuni
cadaveri. - Devono essere rimasti qui da qualche
giorno, e le bestie hanno iniziato a cibarsene.”
“Un'offerta di sangue? ...Creepian?” Domandò
Nikopol mentre si rialzava in piedi, trattenendo a stento
la nausea. Ma un tonfo sordo interruppe i loro discorsi.
Era il suono di un sacco di sabbia gettato in uno stagno
poco profondo. Un cadavere in parte divorato rotolò ai
piedi del ramingo.
“Piovono corpi? - Esclamò Nameera – Poi d'istinto
afferrò la pietra che aveva incantato e la scagliò verso
l'alto, per illuminare la volta della spelonca. Il bagliore
magico squarciò le tenebre come un sipario, mostrando
agli occhi degli avventurieri cosa si stava nascondendo
sopra di loro. Tentacoli neri si stringevano attorno alle
colonne di pietra naturali che sorreggevano la caverna,
e un grosso occhio giallo brillò per un attimo
nell'oscurità, prima che la pietra ricadesse a terra,
scivolando in una pozza di liquame melmoso. Un
ringhio sinistro, a metà tra il ruggito di una belva
feroce e il lamento di un neonato, interruppe il silenzio
del sottosuolo rimbombando su tutte le pareti.
“Nameera, accendi un'altra luce!” Gridò Dougal
girando la sua lama in aria nel tentativo di difendersi
alla cieca. Tutti gli altri sfoderarono le armi. Per un
attimo percepirono tutti distintamente una presenza. La
signora del sangue li stava osservando.
domenica, novembre 22, 2009
Solidarietà a Antonio Tabucchi

Le democrazie vive hanno bisogno di individui liberi. Di individui coraggiosi, indipendenti, indisciplinati, che osino, che provochino, che disturbino. È così per quegli scrittori per cui la libertà di penna è indissociabile dall’idea stessa di democrazia. Da Voltaire e Victor Hugo a Camus e Sartre, passando per Zola e Mauriac, la Francia e le sue libertà sanno quanto tali libertà debbono al libero esercizio del diritto di osservare e del dovere di dare l’allarme di fronte all’opacità, le menzogne e le imposture di ogni tipo di potere. E l’Europa democratica, da quando è in costruzione, non ha mai cessato di irrobustire la libertà degli scrittori contro ogni abuso di potere e le ragioni di Stato.
Ma ora accade che in Italia questa libertà sia messa in pericolo dall’attacco smisurato di cui è oggetto Antonio Tabucchi. Il presidente del Senato italiano, Riccardo Schifani, pretende da lui in tribunale l’esorbitante somma di 1 milione e 300 mila Euro per un articolo pubblicato su “l’Unità”, giornale che, si noti, non è stato querelato. Il “reato” di Antonio Tabucchi è aver interpellato il senatore Schifani, personaggio di spicco del potere berlusconiano, sul suo passato, sui suoi rapporti di affari e sulle sue dubbie frequentazioni – questioni sulle quali costui è riluttante a dare spiegazioni. Porre domande sul percorso, la carriera e la biografia degli alti responsabili delle nostre istituzioni appartiene al necessario dovere di interrogare e alle legittime curiosità della vita democratica.
Per la precisa scelta del bersaglio (uno scrittore che non ha mai rinunciato a esercitare la propria libertà) e per la somma richiesta (una cifra astronomica per un articolo di giornale), l’obiettivo evidente è l’intimidazione di una coscienza critica e, attraverso tale intimidazione, far tacere tutti gli altri. Dalle recenti incriminazioni contro la stampa dell’opposizione, fino a questo processo intentato a uno scrittore europeo, non possiamo restare indifferenti e passivi di fronte all’offensiva dell’attuale potere italiano contro la libertà di opinione, di critica e di interrogazione. Per questo testimoniamo la nostra solidarietà a Antonio Tabucchi e vi chiediamo di unirvi a noi firmando massicciamente questo appello.
giovedì, novembre 12, 2009
Monte Cook a Lucca Comics & Games 2009
Il testo qui tradotto è tratto dal blog personale di Monte Cook: http://www.montecook.com/cgi-bin/page.cgi?montejournal
(è duro persino per scrivere il titolo di questo post senza sentire il ritornello della canzone ufficiale della convention nella mia testa.)
Che cosa ottenete se prendete il ComicCon, ci aggiungete il GenCon e li mettete entrambi in una stupenda città medioevale italiana circondata da mura? Non rispondete ancora, perché c'è di più. Riempite il tutto di cittadini locali che la vivono e la amano veramente, e conditelo liberamente con i ristoranti con il migliore cibo che mai assaggerete. Ora che cosa avete? Lucca Comics & Games, una convention di 140.000 persone che abbraccia tutto ciò che è "geek". E' veramente qualcosa alla quale non ero mai stato prima. La convention praticamente prende possesso di un'intera piccola città in Toscana, con le vie strette della città che si trasformano nei suoi corridoi e le piazze aperte della città (occupate da padiglioni voluminosi) che si trasformano nei centri per gli eventi e per i negozi. Ogni negozio in città ha fumetti o action figures in vetrina o in qualche modo in esposizione per entrare nello spirito delle cose.
E' grande, ma non è la grandezza quella che ti stupisce. E il calore e il divertimento della gente mescolata alla bellezza dei paesaggi (e ho già menzionato il cibo?).
La notte di mercoledì, prima che la convention iniziasse, Sue ed io vagavamo in giro mentre costruivano la mia vetrina. E' stato un vero onore per me --uno spazioso armadietto di vetro (due in realtà) per mettere in mostra una selezione dei prodotti nei quali ho lavorato nel corso degli anni. La vetrina è stata esposta per la durata dell'intera convention. Abbiamo concluso la giornata cenando in ritardo. Sue ed io abbiamo passato molto tempo quella sera con un altro ospite dell'esposizione, il progettista di boardgame francese Bruno Faidutti. E' stato grandioso poterlo conoscere.
Il giovedì, ho dato il via all'esposizione aprendo il torneo di Giochi di Ruolo con una piccola e semplice presentazione. Ogni giorno ho avuto una sessione di firme presso le stand di Wyrd Edizioni, coadiuvato dai miei amici Elisabetta e Massimo. E' stata sempre una grande occasione per incontrare molti fan italiani dei giochi di ruolo. Nel pomeriggio, ho condotto una breve sessione di gioco di due ore che abbiamo aggiunto all'ultimo minuto al mio programma. E' andata veramente bene, e ripensandoci, avrei voluto avere tempo di fare di più. Moltissima gente ha assistito, e i giocatori erano tutti eccellenti. Abbiamo avuto un traduttore a disposizione, ma --anche se era bravissimo-- per lo più non è stata molto necessaria. L'inglese dei giocatori era molto buono. (Il mio italiano, invece...)
La notte di giovedì c'è stata l'assegnazione dei premi, durante la quale a tutti gli ospiti sono stati date delle eleganti targhe e i premi sono stati assegnati a vari fumetti e giochi (ed i loro creatori). Viene la tentazione di paragonare questi premi agli Origin Awards o agli ENnies, ma in verità probabilmente sarebbe più accurato avvicinarli agli Eisners. Una cerimonia piacevole in un bel teatro, con i rappresentati degli enti locali e altre autorità presenti. Un momento bizzarro della serata è stato quando ho scoperto che avevo davvero già vinto alcuni di questi premi nel passato (per D& D 3E e Heroclix, anche se non ero stato accreditato per Heroclix, come capita spesso). Sono sicuro che le aziende che hanno pubblicato questi giochi hanno saputo di questi premi e delle due l'una: o non hanno abbastanza considerazione di questi premi, o non ce l'hanno dei designer in questione, almeno non abbastanza da farmelo sapere. Probabilmente la seconda. Ma questo può essere il tema per il post di un altro giorno.
L'evento speciale di venerdì per me è stato un gruppo di lavoro per la progettazione dei Giochi di Ruolo. Una coppia di traduttori era a disposizione, e questo volta erano indispensabili. L'evento di due ore è andato bene, penso. Per prima cosa ho tenuto un incontro e delle sessioni di Domande & Risposte con un traduttore, ed è sempre una sfida, principalmente perché devi frenarti per aspettare che il traduttore faccia il suo lavoro, ma non vorresti spezzare il flusso e perdere le idee e le informazioni. La convention ha persino fornito dei certificati per tutti i partecipanti, firmati da me, alla fine, e ho pensato che fosse un'idea piacevole.
Il sabato ho condotto un evento molto strano (per me) e interessante, in cui ho esaminato i prototipi dei giochi che la gente aveva progettato. E' molto difficile per una persona criticare i risvolti più nascosti di un RPG di un altro in appena pochi minuti, ed è altrettanto arduo fornire feedback che abbiano un senso su che cosa condivido (o non condivido). Aggiungiamoci una barriera linguistica e la necessità di un traduttore, ed ecco che in molti casi non sono sicuro al 100% che quelli che mi hanno portato i loro giochi abbiano realmente ottenuto qualcosa, se devo essere onesto. E' difficile scambiarsi suggerimenti reciproci in certe situazioni. Ma mi è piaciuto e spero --per lo meno-- che sia piaciuto anche a loro.
Domenica ha portato con se un'altra conferenza e una sessione di Domande & Risposte. Ho avuto ancora una volta dei traduttori eccellenti che mi hanno aiutato a venirne fuori. Questo genere di eventi a Lucca non sono di grande richiamo come sarebbero ad una convention americana, il che è interessante perché le sessioni di firme in Italia sono state un evento molto più grande di quello che sarebbero state in una convention negli Stati Uniti, credo. Certamente non avrei rilasciato autografi ogni giorno, negli Stati Uniti, e non si sarebbe presentata una così gran quantità di gente a ogni sessione di firme. Forse è perché si tratta di una grande mostra mercato di comics, e quindi gli autografi sono più importanti.
La notte di domenica ha segnato la fine della convention, e con essa una bizzarra tradizione. Questa tradizione ha radici nel passato, quando alcuni membri dello staff, infastiditi fino alla distrazione da un giovane gamer, hanno finito per inseguirlo tutto intorno e per sculacciarlo. Ora, ogni anno, questo gamer (ora cresciuto) si nasconde da qualche parte nella fiera e lo staff lo va a cercare, lo insegue e finge di percuoterlo. Gli artisti abbozzano dei disegni a mano sulla sua (abbondante) pancia. E il soggetto in questione, un vero gamer geek, si compiace di ogni minuto di attenzione. E' bizzarro, ma non è un modo malvagio di scaricare la tensione accumulata e divertirsi un po' alla fine dell'esposizione. (Non essendo un artista, quando mi hanno chiesto di partecipare, ho riportato su di lui una regola di gioco piuttosto che un disegno. Ognuno fa quel che può.)
Ogni serata c'era una cena in uno dei favolosi ristoranti locali. Sia giovedì notte che domenica notte c'erano sette portate nello stesso banchetto. Trovo divertente che ad una convention degli Stati Uniti (di gioco o di affari), quando senti la parola "banchetto" pensi al solita piccolo pollo della Cornovaglia triste e ad alcune verdure mezze crude. Ma questa è l'Italia, e quindi il cibo è assolutamente da impazzire. Mentre le portate continuano ad arrivare, pensi: "no, non riuscirò mai a mandare giù un altro boccone" ma poi arriva quella seguente e ha un aspetto, e senti un odore così buono, che la successiva cosa che realizzi è che l'hai già mangiata tutta.
Anche pranzo, che ci era passato dallo stand in concessione; era impressionante. Non fraintendete, non era nulla di eccezionale, ma sorpassava di gran lunga i tradizionale hot dog e i nachos che vengono offerti a tutte la convention, qui. Suppongo che quello che potrebbe essere considerato cibo scadente in Italia sarebbe roba più o meno rispettabile qui.
I gamers ed i fan all'esposizione erano simili in quasi tutto ai gamers e ai fan di ogni altro posto, naturalmente. Tranne per il fatto che erano pi magri, e più alla moda. Il più nerd e il più fetido dei geek italiani non può competere con la sua controparte americana. Tantissimi visitatori, specialmente adolescenti, sono venuti all'esposizione in costume. Proporzione probabilmente quasi uguale a quella che si ritrova in un ComiCon. Ho viso molti costumi davvero impressionanti, la maggior parte di loro ispirati a manga,anime, o il videogiochi. Proprio come qui.
Durante l'esposizione, ho rilasciato molte interviste per le riviste italiane e per i siti, ho chiacchierato con i gamers e sono uscito con lo staff della convention, ma inoltre sono riuscito a dare un'occhiata in giro. Il mercato italiano dei fumetti è estremamente forte, con sia per quanto riguarda i fumetti americani tradotti che per la grande selezione dei fumetti italiani. Per quanto riguarda i giochi, molti erano presenti in esposizione: i giochi da tavolo, i giochi di ruolo ed i videogiochi, con tutti i maggiori produttori a disposizione. in ogni caso, per me erano più interessanti i venditori locali, con i giochi che non potrei leggere tristemente ma esame goduto di ciò nonostante. Sorprendentemente, uno stand stava vendendo roba vecchia di D&D (non tradotta) e offriva la migliore selezione di roba classico rara in vendita che abbia mai visto tutta in un posto. Non solo la scatola bianca e le cose relative, ma anche i moduli rari di RPGA come To the Aid of Falx e Investigation of Hydell, Dragon #1, ecc. Roba buona. Ma sapevano cosa avevano e di conseguenza avevano valutato tutto giustamente, il che significa che erano molto cari. E non c'erano solo libri. Possedevano il vecchio raccoglitore di D&D di plastica giallo, i libri da colorare, il merchandising del cartoon, e molto altro ancora. Incredibile.
Lucca era sotto tutti gli aspetti una grande esposizione. Nacque all'inizio degli anni 60 ed lo staff della convention, si compone, in parte, della gente che è ha partecipato alla convention da bambino. Divertimento, organizzato bene, ben sviluppato e ben sostenuto, è una di migliori mostre mercato alle quali io abbia mai artecipato. I miei ringraziamenti ad Emanuele, ad Andrea, a Silvia, a Gabriele, a Anna, a Skippy, a Antonio, a Cristina e a tutti gli altri che hanno messo in piedi la convention e che la curano così bene. Inoltre grazie a Massimo, ad Elisabetta, a Sonia e a Bice di Wyrd per essere buoni amici e per l'aiuto con gli autografi, il gioco e altro. Ed ho già menzionato il cibo?
lunedì, novembre 09, 2009
Leggendo Alberoni
