Credo che la scrittura di Drizzit, il mio web-comic a strisce, abbia raggiunto un punto di svolta. Mentre sceneggiavo le ultime strisce, mi sono reso conto che l'intreccio narrativo era ormai abbastanza evoluto da essere poco accessibile a nuovi lettori. In pratica, se un nuovo lettore cominciasse a leggere Drizzit dalla striscia 180 o dalle successive, difficilmente riuscirebbe a comprendere "a che punto siamo" con la storia. Dovrebbe avere la pazienza e la voglia di tornare indietro e rileggersi tutto.
Però 180 strisce sono ormai una bella mole, da rileggere. E' vero che Drizzit è tutto online sia qui che su facebook e che non occorre faticare molto per trovare la prima striscia (su shockdom tra l'altro ho cominciato a pubblicarle da capo da poco), ma il suddetto lettore potrebbe non avere intenzione di perdere tempo a leggere roba vecchia. Quindi ecco il punto di svolta: il punto in cui si rende necessario che il filo principale sia "suddiviso" in saghe.
All'inizio non ce n'era bisogno anche perché il fumetto, in cerca di lettori, aveva bisogno di conquistare con una sola striscia. Era necessario che chiunque leggesse si facesse una risata all'istante su quello che stava leggendo, in modo da essere invogliato a tornare per la risata del giorno dopo. Ma quando si arriva a 180 strisce e con un minimo seguito di lettori, è normale che gli obiettivi di uno sceneggiatore mutino evolvendosi naturalmente in qualcosa di più complesso. Drizzit ha sempre avuto una storia, di fondo, ma questa è diventata man mano sempre più importante. Non ho mai rinunciato né rinuncerò mai al formato "a striscia" del fumetto, quindi Drizzit tenterà sempre di strapparvi un sorriso ogni giorno, ma a questo intento si è aggiunto quello di raccontarvi anche qualcosa.
Entro qualche mese cercherò di chiudere la vicenda della "morte e resurrezione" di Drizzit, mettendo il punto a tutta una serie di vicende che ci hanno condotto alla conoscenza di Baba Yaga, del passato di Katy e delle disavventure del protagonista nell'aldilà. Questa sarà la prima vera "saga" di Drizzit. Conclusa questa, ne comincerà ovviamente un'altra. In questo modo, nuovi lettori potranno approcciarsi a questo fumetto senza dover scavare troppo nel passato (ma potranno comunque farlo, ovviamente).
Prenderò anche in considerazione di pubblicare qualcosa (di cartaceo intendo) quando la prima saga sarà terminata. Intanto quelle che condiscono questo post sono le bozze preliminari di alcune strisce estrapolate dal rocambolesco finale della saga sopra citata. Sono solo bozze, non credo che vi rovineranno nulla della sorpresa. Il finale dovrebbe arrivare attorno a Marzo, con la striscia 250 o giù di lì.
Nell'attesa, buon 2012 a tutti!
sabato, dicembre 31, 2011
venerdì, dicembre 30, 2011
Gen-Art
Questo mio racconto risale al 2001, quando ero iscritto alla facoltà di scienze matematiche fisiche e naturali dell'università della Tuscia, e nella vicina facoltà di lingue e letterature straniere moderne fu indetto un concorso di scrittura. Partecipai e arrivai primo. Non ho mai pubblicato questo racconto sul mio blog, ma lo si trova online se lo si cerca (sul sito dell'università della Tuscia, mi pare). Ci ho ripensato perché, come mi ero già detto altre volte, non vale la pena lasciare i propri racconti a marcire in un cassetto. Preferisco condividerli con chiunque voglia leggerli. Quindi buona lettura.
La targa sulla porta diceva chiaro: “Dott. Martin Clavell - Critico d'arte - Specialista in Arte Genetica. «Prego, sedetevi.» li invitò subito il dottor Clavell. I due si sedettero. Prima lui e poi lei.
«Allora voi siete i coniugi Pakowsky. Sono molto lieto.» Si sporse oltre la scrivania di legno allungando la mano.
«Molto piacere dottor Clavell. Io sono Adam e questa è mia moglie Loise.» Adam strinse la mano al dottor Clavell. Loise si limitò a salutarlo con un cenno della testa. Il dottore le lanciò un primo sguardo. Poi, mentre tornava a sedersi, la osservò di nuovo, velocemente. La donna aveva lunghe gambe, modellate perfettamente, con delle ginocchia decise ed una caviglia sottile. Le valorizzava indossando una minigonna molto audace ed un paio di scarpe molto costose. Lei si accorse di essere osservata, ma non disse nulla.
«Mia moglie è un Vautrine dell'ultimo periodo.» si affrettò a dire Adam. Il dottor Clavell si sentì in diritto di osservarla più liberamente, ma dopo pochi secondi si era già fatto un'idea sul tipo di donna. Aprì una cartellina virtuale, che aveva preparato in precedenza e lasciato sospesa sul monitor olografico davanti a sé. L'enorme vetrata alle spalle del dottore dava sul quartiere del porto, ma da lì, dal ventunesimo piano, era molto più bello che visto dall'interno delle sue vie. Il dottor Clavell cominciò a leggere in silenzio alcuni fogli, poi sfiorò i sensori del computer, ed iniziò a cercare qualcosa. Mentre cercava, formulò una domanda:
«Che cosa vi ha spinto ad avere un figlio?» Non staccò gli occhi dai fogli traslucidi proiettati di fronte sé, anzi si aggiustò con un dito gli occhiali.
«Beh, dottor Clavell...» iniziò Adam.
«Mi chiami Martin, la prego.»
«Sì... Beh... Io e mia moglie siamo sposati da ormai quattro anni. Abbiamo molto tempo libero, e pensiamo che un figlio sia anche qualcosa di speciale... Qualcosa che ci lega...» Avrebbe voluto continuare, ma il dottor Clavell, con un gesto rapido della mano, spense il proiettore olografico.
«Ho controllato la scheda di sua moglie. E' un'autentica Vautrine del '67. Il periodo dei fianchi, se non sbaglio.»
«Esatto, si. Vautrine creò circa un centinaio di esemplari in quel periodo, in Spagna.»
«Beh, signora Pakowsky, non avevo mai avuto il privilegio di ammirare un Vautrine, prima d'ora, ma devo dire che lei vale tutta la fama che quell'artista ha saputo guadagnarsi.» La signora Pakowsky sorrise.
«Grazie.» disse.
«Ma anche lei non è da meno, Adam. Posso chiamarla Adam, vero?» Anche il signor Pakowsky allargò un sorriso. Annuì una volta sola.
«De Rosi, mi pare.»
«Sì, De Rosi del 2061. Conosce l'autore?»
«I genartisti italiani sono i miei preferiti. – disse Clavell alzandosi dalla poltroncina e passeggiando lentamente verso la sua pianta da ufficio. – Purtroppo nell'ultimo decennio sono stati i tedeschi a dettare le regole, e solo l'arte genetica francese ha saputo reggere il confronto. Ciò nonostante continuo ad apprezzare moltissimo i lavori del resto dell'Europa. Per mio figlio mi sono affidato ad un fiorentino, un certo Claudio Calvino. Ne avete sentito parlare?» Adam scosse leggermente la testa, poi poggiò la schiena alla sedia. Clavell accarezzò con una mano qualche foglia della pianta, come per saggiarne l'evidente buona salute. Dietro di lui il cielo luminoso cominciava a scurirsi.
«Scusatemi, stavo divagando. Per rompere un po' il ghiaccio.»
«Noi invece siamo preoccupati, e vorremmo che lei giungesse presto al punto.» sputò fuori con fermezza la signora Pakowsky. Adam stese la mano verso di lei per farle segno di stare calma. Lei, senza badare al marito, afferrò la sua borsetta e tirò fuori un pacchetto di sigarette.
«Loise, magari al dottor Clavell dà fastidio...»
«No, non si preoccupi, signor Pakowsky. Non ho problemi col fumo.» Clavell si affrettò a raggiungere nuovamente la sua poltroncina. Alle sue spalle, qualche luce della città già s'accendeva. Si sedette e riprese in mano i fogli che aveva già estratto dalla cartellina.
«C'è qualche problema, dottor Clavell?» chiese Adam. Il suo tono era calmo ed interrogativo, non sembrava veramente preoccupato. Non avevano minimamente idea del perché si trovavano qui, pensò Clavell, e questo era ovvio.
«Circa un mese fa, più precisamente il 14 di Gennaio, io stesso vi contattai per via di vostro figlio.» Fece una pausa. I Pakowsky restarono in silenzio. «Il piccolo era nato e non aveva problemi di sorta, godeva di ottima salute ed il suo aspetto era stupendo. Fin troppo. Mi trovavo in quell'ospedale per assistere alla nascita di un'opera del maestro Kadowaki, un genartista giapponese che sta conquistando sempre più pubblico, ultimamente. E notai il vostro... Com'é che si chiama?»
«Isaac.» rispose Loise.
«Isaac, giusto. Vi contattai il giorno dopo per chiedervi il permesso di esaminare meglio il piccolo Isaac. Lo ottenni, ed il giorno stesso, con un paio di assistenti, ci apprestammo a valutare vostro figlio.» I coniugi Pakowsky si guardarono fra loro per un attimo.
«Dottor Clavell...» iniziò Loise.
«L'invito a chiamarmi Martin vale anche per lei, signora Pakowsky.» la interruppe il dottore.
«Mio figlio non è un'opera. E' naturale. Come può essere valutato?» Adam arricciò le sopracciglia e si fece avanti, appoggiando i gomiti sui braccioli della sedia ed intrecciando le dita. Il dottor Clavell abbassò le carte che aveva in mano, e tirò un sospiro. Si aggiustò gli occhiali, e rispose con pacata lentezza, in modo da essere estremamente chiaro:
«E' vero. Vostro figlio non è un opera. Ma possiamo valutarlo come se lo fosse.» Adam restò in silenzio. Anche Loise restò in silenzio. Tirò un ampia boccata dalla sua sigaretta. Poi la spense, schiacciandola nel portacenere di giada del dottore. Solo allora tirò fuori il fumo.
«Quella che ci sta proponendo è una truffa.»
«E' vero, signora Pakowsky. Ma non completamente.»
«Cosa vuol dire?»
«Che se ho notato vostro figlio tra molti e vi ho contattato, è perché so che la cosa funzionerà. Vostro figlio è la prova del fatto che, nonostante oltre sessant'anni di arte genetica, madre natura è ancora l'artista migliore. Forse voi non vi siete soffermati troppo sulle caratteristiche di vostro figlio, e probabilmente, se non l'avessi notato io, non l'avrebbe fatto nessuno. Ma io e la mia équipe siamo usciti estasiati dall'incontro con quella piccola creatura. Guardi, ho qui pronta una bozza della recensione.» Estrasse un fascicolo da un cassetto e lo allungò al signor Pakowsky. Era cartaceo, non se ne vedeva più molta in giro, di carta stampata. La signora Pakowsky anticipò il marito.
«E chi sarebbe il genartista?» chiese.
«Robert Greenberg. Un giovane con molto talento e tanta sfortuna. Ha ricevuto pesanti critiche negative per i suoi ultimi lavori dalla maggior parte della stampa.»
«Come mai?» si interessò Adam.
«Freak-art. Ha composto alcuni lavori per un paio di coppie eccentriche dell'alta società cittadina. Ma la freak-art non è vista di buon occhio dall'opinione pubblica, e i critici tendono a svalutarla... Doti come la capacità di osare, l'audacia e l'originalità, qualità che hanno sempre valso molto, nel mondo dell'arte. Ma chi osa rischiare il posto in nome dell'arte, oggigiorno?»
«Non saprei, dottor Clavell... A me sembrano comunque dei mostri...» rispose ingenuamente Adam. «Probabilmente l'occhio inesperto di qualcuno avrà dato lo stesso giudizio anche della Guernica di Picasso, quando la pittura era molto più apprezzata di adesso.» Loise era immersa nella lettura della recensione di suo figlio. D'improvviso apparve l'immagine di una graziosa ragazza, di fianco alla scrivania. L'immagine restò immobile, ed attraverso la sua trasparenza Adam si accorse che la sera era calata sul porto.
«Dimmi pure.» comandò vocalmente il dottor Clavell.
«C'è il suo assistente, il dottor Taylor, che desidera parlarle urgentemente.» La voce era palesemente elettronica. «Digli che sono occupato. Ci sono i signori Pakowsky qui con me.»
«Lo sa, dottor Clavell. Vorrebbe parlare con lei prima che li congedasse.» Il dottor Clavell era evidentemente imbarazzato.
«Scusatemi. Ci vorrà poco.»
«Non si preoccupi, faccia pure.» gli rispose Adam. La signora Pakowsky invece, non alzò gli occhi dai fogli che teneva in mano. Clavell uscì dalla stanza, e l'interfaccia visiva del suo computer scomparve, ma non prima di aver salutato con un cenno gentile della testa. Per qualche minuto, il signor Pakowsky non disse nulla. Si alzò, oltrepassò la scrivania, passò di fianco alla pianta da ufficio. Si accorse che era di plastica, una pianta finta. Ne toccò una foglia, e sentì fra i polpastrelli delle dita tutta la sinteticità di quell'oggetto ornamentale. Poi si voltò verso la vetrata. Invece di scorgere la città, finì per guardarsi negli occhi. Le sue sopracciglia lunghe e sottili, il suo naso lineare e preciso. La fossetta asimmetrica, artistico omaggio a Janet La Tourrette, la prima genartista donna di successo. Alzò la mano e toccò il vetro. Per un attimo gli parve di trovarsi oltre quella superficie trasparente, come uno spettro, prigioniero in una teca trasparente, fredda e male illuminata. Staccò le dita dal vetro. Tentò di guardare oltre il riflesso. Le luci della città di notte. Ma due luci più di tutte, il suo stesso sguardo. No. Non andava. Sconfitto, si voltò.
«Mi sembra un'ottima recensione. – esordì Loise. – Incisiva, efficace. E poi è vero. Un genartista di successo non avrebbe potuto fare di meglio. Alcuni particolari fisionomici sono veramente geniali, ed innovativi oltretutto.» Adam restava immobile, con le spalle rivolte alla città nella sera.
«Cosa c'é, Adam? Un mal di testa improvviso?»
«Io... Io non credo che dovremmo farlo... Loise.» Le parole gli uscirono a singhiozzi dalla gola.
«Che vuoi dire, Adam? Che rischiamo troppo?» Lui si poggiò al vetro. Cosa risponderle? Non lo sapeva. Ancora non capiva cosa c'era che lo rendeva così inquieto. Lasciò parlare Loise.
«Senti, Adam... – riprese lei – E' vero, quello che stiamo facendo non è legale. Ma hai considerato la situazione? Isaac è stato un errore, Adam. Allora non ne ero del tutto convinta, ma ora sì. Figlio naturale di due opere genetiche. Che futuro avrà? Lo stato non gli passerà un soldo. Dovrà studiare, cercarsi un lavoro, mantenersi. E' la vita che hai fatto tu, forse? E' la vita che vuoi riservargli? Immagina invece cosa diranno i mass media di lui, se il piano del dottor Clavell va in porto. Sarà un'opera dell'arte genetica, figlio di due opere di già confermata preziosità. Sarà facile che acquisti valore, ed avremmo facilmente delle sovvenzioni statali. Crescerà al centro dell'attenzione dei critici, e magari qualche miliardario eccentrico ce lo adotterà a distanza, come accade di frequente con le opere genartistiche più preziose. Avrà vita facile, successo, e non gli mancherà mai nulla. Sai di cosa sto parlando vero?»
«Sì.»
«Santo cielo. Adam! – Si alzò in piedi e lanciò i fogli della recensione sul tavolo. – E allora che cos'hai?» Adam la guardò in volto. Con lo sguardo tentava di entrargli nel cervello.
«Tu... Loise... Hai mai pensato... A che volto avresti avuto... In realtà? – Lei piegò la testa. Sconsolata. – Vedi Loise, il mio dito indice è lungo esattamente dieci centimetri, dall'attaccatura alla punta. Hanno scritto articoli sul mio dito indice. Ed anche sul mio naso, sulla mia schiena. Sul mio neo, poco sopra l'ombelico. Quando ero bambino, sotto le coperte, restavo sveglio a pensare al mio neo. Dove sarebbe stato, se nessuno avesse giocato con i miei geni? Ci sarebbe stato? Forse avrei avuto i capelli castani, come mio padre... Io non sono io, Loise.»
«Stai delirando, Adam. Nessuno di noi, neanche i nati naturali, scelgono come nascere. Essere biondo o castano, alto o basso, nero o bianco. Tutti nascono e vivono per quello che sono. Ma essere in un certo modo, portare una firma, come la tua o la mia, comporta dei vantaggi. E allora perché non scegliere il meglio, per tuo figlio?»
«Io voglio che lui sappia.»
«Sappia cosa?» «Che non è come me e come te. Che lui è quello che doveva essere. Che è veramente se stesso.» Loise passeggiò velocemente verso la porta. Si passò una mano fra i capelli.
«Glielo diremo. Quando avrà l'età giusta lo saprà.»
«E lo faremo vivere fino a quel momento nell'incubo che qualcun altro abbia scelto a che età sarai miope? O quando inizierai a perdere i capelli? O se il tuo sviluppo sarà precoce?»
«Sì, Adam, sì! Meglio questo che una vita da squallido medio-borghese, non credi? Se hai un auto di lusso, se puoi permetterti una villa al mare, se fai parte di un club di golf, è perché sei quel che sei! Ricordatelo!»
«Non riesci a pensare ad altro, Loise? Solo al benessere economico? Guarda qui!» Aprì la bocca. Tirò fuori la lingua. Poi, allungandola con un po' di sforzo, riuscì a toccarsi la punta del naso. Loise lo osservò con sgomento.
«Ho scoperto di saperlo fare a quattordici anni. Lo sai cosa mi disse mio padre, quando glielo mostrai? – Lei attese in silenzio. – Disse: chissà cosa avrà voluto dire l'autore con questo?» Per un attimo, si riuscirono ad ascoltare addirittura i rumori della strada. «La mia infanzia è stata un incubo, Loise. Non voglio che lo sia anche quella di Isaac. Soprattutto se non è quello che gli spetta.» Tutto nella stanza restò immobile per qualche minuto. I coniugi Pakowsky non incrociarono i loro sguardi neanche una volta, ed infine la porta si aprì, ed entrò il dottor Clavell. Nonostante i due fossero visibilmente turbati, il dottore non ci fece caso. Passò davanti ad Adam, scostò la sua poltroncina e si sedette alla scrivania.
«Sedetevi, per favore.» La signora Pakowsky tornò alla sua sedia. Suo marito no. Clavell continuò lo stesso:
«Sono costretto a ritirare la mia offerta di... collaborazione, signori Pakowsky. Mi dispiace.» Adam restò pietrificato.
«Perché? Cos'è successo?» domandò con aggressività sua moglie.
«Ecco vede... Voi tutti sapete che ogni opera genartistica è firmata dal suo autore. Lei, signora Pakowsky, dovrebbe avere la firma proprio sotto il seno sinistro, come ogni Vautrine che si rispetti. L'avrà sicuramente anche lei, Adam, anche se non so dove il suo autore ha preferito apporla. – Lui annuì. – Ora queste firme, più di mezzo secolo fa, venivano semplicemente tatuate sulla pelle dell'opera. Un metodo che però aveva degli svantaggi. Ad esempio una cicatrice poteva cancellare la firma. Peggio ancora, abili tatuatori potevano falsare le firme dei grandi artisti e spacciare false opere genartistiche sulla piazza. In seguito, con l'aumentare della conoscenza dei geni, le firme sulle opere cominciarono ad essere programmate dall'artista stesso durante la fase di composizione, controllando geneticamente la migrazione dei melanociti sulla pelle delle sue opere durante lo sviluppo embrionale. In effetti, le firme sui vostri corpi non sono altro che... nei, dalla forma bizzarra, che riproducono il nome del vostro autore.»
«Ma Isaac non ha questo tipo di firma.» intervenne Loise.
«Era quello che pensavamo anche noi. Avremmo posto una firma su di lui col vecchio metodo del tatuaggio, e poi l'avremmo fatta passare per una preferenza dell'artista. Ma incredibilmente... – Clavell lasciò la frase in sospeso. Per qualche secondo. – Isaac ha già una firma.» La signora Pakowsky si tirò indietro sulla sedia, immobilizzata con la bocca aperta.
«Vuole dire... Che Isaac è un'opera genartistica? Ma è impossibile... Noi non abbiamo...» «Non ho detto questo, signora Pakowsky. Ho detto solo che suo figlio ha già una firma. All'interno della natica sinistra. Durante il primo esame non ce n'eravamo accorti. Ma stamani, mentre voi eravate qui con me, i miei assistenti, eseguendo il secondo esame che voi avete autorizzato, l'hanno trovata.» Adam sorrise con indicibile gusto.
«E' proprio dove è posta la mia... Ha preso da suo padre!»
«Si, signor Pakowsky, tuttavia non possiamo dire che si tratti della firma del suo autore, Luigi de Rosi. L'influenza dei geni materni ha storpiato le 'lettere', se così vogliamo chiamarle... Eh, beh, questo è il risultato.» Estrasse un pad fotografico dalla tasca, e lo diede alla signora Pakowski. Loise lo girò e lo osservò con stupore.
«Che cosa... Che cosa c'è scritto?» chiese lei.
«E' uno scarabocchio, signora Pakowsky. Non c'è scritto nulla. Se la seconda lettera è una "G" e l'ultima una "F" potremmo quasi leggerlo... "MGTARBBF"...» Pronunciò la parola al meglio delle sue possibilità, e poi nascose il sorriso. Proseguì tentando di concludere il discorso:
«Le leggi sono chiare riguardo le opere genartistiche. Possono avere una sola firma, ed il nome dev'essere leggibile. Nessuno crederà che esista un nome o un cognome del genere. D'altro canto, è palese che il fenomeno è causato da un semplice caso di ereditarietà, e quindi è la prova che vostro figlio è... naturale.» Nella stanza scese il gelo. Passarono una dozzina di lunghissimi secondi. La signora Pakowsky si alzò dalla sedia, con una calma innaturale. Si mise in spalla la borsetta, poggiò il pad fotografico su un angolo della scrivania, poi tese la mano verso il dottor Clavell.
«Allora arrivederci, dottore.»
«Arrivederci.» rispose Clavell stringendole la mano. La signora Pakowsky uscì dalla stanza. Adam girò intorno alla scrivania fino a trovarsi davanti a Clavell. Diede uno sguardo alla foto riprodotta nel pad, e sorridendo strinse anche lui la mano al dottore.
«Che cos'ha da ridere?» chiese con onesta curiosità Clavell.
«Niente, dottore. La ringrazio.» rispose il signor Pakowsky.
«Suo figlio la sta aspettando al primo piano... Non ho fatto in tempo a dirlo a sua moglie...»
«Non si preoccupi, glielo dirò io. Eccome se glielo dirò.» Si aggiustò la giacca, e uscì dalla stanza.
La targa sulla porta diceva chiaro: “Dott. Martin Clavell - Critico d'arte - Specialista in Arte Genetica. «Prego, sedetevi.» li invitò subito il dottor Clavell. I due si sedettero. Prima lui e poi lei.
«Allora voi siete i coniugi Pakowsky. Sono molto lieto.» Si sporse oltre la scrivania di legno allungando la mano.
«Molto piacere dottor Clavell. Io sono Adam e questa è mia moglie Loise.» Adam strinse la mano al dottor Clavell. Loise si limitò a salutarlo con un cenno della testa. Il dottore le lanciò un primo sguardo. Poi, mentre tornava a sedersi, la osservò di nuovo, velocemente. La donna aveva lunghe gambe, modellate perfettamente, con delle ginocchia decise ed una caviglia sottile. Le valorizzava indossando una minigonna molto audace ed un paio di scarpe molto costose. Lei si accorse di essere osservata, ma non disse nulla.
«Mia moglie è un Vautrine dell'ultimo periodo.» si affrettò a dire Adam. Il dottor Clavell si sentì in diritto di osservarla più liberamente, ma dopo pochi secondi si era già fatto un'idea sul tipo di donna. Aprì una cartellina virtuale, che aveva preparato in precedenza e lasciato sospesa sul monitor olografico davanti a sé. L'enorme vetrata alle spalle del dottore dava sul quartiere del porto, ma da lì, dal ventunesimo piano, era molto più bello che visto dall'interno delle sue vie. Il dottor Clavell cominciò a leggere in silenzio alcuni fogli, poi sfiorò i sensori del computer, ed iniziò a cercare qualcosa. Mentre cercava, formulò una domanda:
«Che cosa vi ha spinto ad avere un figlio?» Non staccò gli occhi dai fogli traslucidi proiettati di fronte sé, anzi si aggiustò con un dito gli occhiali.
«Beh, dottor Clavell...» iniziò Adam.
«Mi chiami Martin, la prego.»
«Sì... Beh... Io e mia moglie siamo sposati da ormai quattro anni. Abbiamo molto tempo libero, e pensiamo che un figlio sia anche qualcosa di speciale... Qualcosa che ci lega...» Avrebbe voluto continuare, ma il dottor Clavell, con un gesto rapido della mano, spense il proiettore olografico.
«Ho controllato la scheda di sua moglie. E' un'autentica Vautrine del '67. Il periodo dei fianchi, se non sbaglio.»
«Esatto, si. Vautrine creò circa un centinaio di esemplari in quel periodo, in Spagna.»
«Beh, signora Pakowsky, non avevo mai avuto il privilegio di ammirare un Vautrine, prima d'ora, ma devo dire che lei vale tutta la fama che quell'artista ha saputo guadagnarsi.» La signora Pakowsky sorrise.
«Grazie.» disse.
«Ma anche lei non è da meno, Adam. Posso chiamarla Adam, vero?» Anche il signor Pakowsky allargò un sorriso. Annuì una volta sola.
«De Rosi, mi pare.»
«Sì, De Rosi del 2061. Conosce l'autore?»
«I genartisti italiani sono i miei preferiti. – disse Clavell alzandosi dalla poltroncina e passeggiando lentamente verso la sua pianta da ufficio. – Purtroppo nell'ultimo decennio sono stati i tedeschi a dettare le regole, e solo l'arte genetica francese ha saputo reggere il confronto. Ciò nonostante continuo ad apprezzare moltissimo i lavori del resto dell'Europa. Per mio figlio mi sono affidato ad un fiorentino, un certo Claudio Calvino. Ne avete sentito parlare?» Adam scosse leggermente la testa, poi poggiò la schiena alla sedia. Clavell accarezzò con una mano qualche foglia della pianta, come per saggiarne l'evidente buona salute. Dietro di lui il cielo luminoso cominciava a scurirsi.
«Scusatemi, stavo divagando. Per rompere un po' il ghiaccio.»
«Noi invece siamo preoccupati, e vorremmo che lei giungesse presto al punto.» sputò fuori con fermezza la signora Pakowsky. Adam stese la mano verso di lei per farle segno di stare calma. Lei, senza badare al marito, afferrò la sua borsetta e tirò fuori un pacchetto di sigarette.
«Loise, magari al dottor Clavell dà fastidio...»
«No, non si preoccupi, signor Pakowsky. Non ho problemi col fumo.» Clavell si affrettò a raggiungere nuovamente la sua poltroncina. Alle sue spalle, qualche luce della città già s'accendeva. Si sedette e riprese in mano i fogli che aveva già estratto dalla cartellina.
«C'è qualche problema, dottor Clavell?» chiese Adam. Il suo tono era calmo ed interrogativo, non sembrava veramente preoccupato. Non avevano minimamente idea del perché si trovavano qui, pensò Clavell, e questo era ovvio.
«Circa un mese fa, più precisamente il 14 di Gennaio, io stesso vi contattai per via di vostro figlio.» Fece una pausa. I Pakowsky restarono in silenzio. «Il piccolo era nato e non aveva problemi di sorta, godeva di ottima salute ed il suo aspetto era stupendo. Fin troppo. Mi trovavo in quell'ospedale per assistere alla nascita di un'opera del maestro Kadowaki, un genartista giapponese che sta conquistando sempre più pubblico, ultimamente. E notai il vostro... Com'é che si chiama?»
«Isaac.» rispose Loise.
«Isaac, giusto. Vi contattai il giorno dopo per chiedervi il permesso di esaminare meglio il piccolo Isaac. Lo ottenni, ed il giorno stesso, con un paio di assistenti, ci apprestammo a valutare vostro figlio.» I coniugi Pakowsky si guardarono fra loro per un attimo.
«Dottor Clavell...» iniziò Loise.
«L'invito a chiamarmi Martin vale anche per lei, signora Pakowsky.» la interruppe il dottore.
«Mio figlio non è un'opera. E' naturale. Come può essere valutato?» Adam arricciò le sopracciglia e si fece avanti, appoggiando i gomiti sui braccioli della sedia ed intrecciando le dita. Il dottor Clavell abbassò le carte che aveva in mano, e tirò un sospiro. Si aggiustò gli occhiali, e rispose con pacata lentezza, in modo da essere estremamente chiaro:
«E' vero. Vostro figlio non è un opera. Ma possiamo valutarlo come se lo fosse.» Adam restò in silenzio. Anche Loise restò in silenzio. Tirò un ampia boccata dalla sua sigaretta. Poi la spense, schiacciandola nel portacenere di giada del dottore. Solo allora tirò fuori il fumo.
«Quella che ci sta proponendo è una truffa.»
«E' vero, signora Pakowsky. Ma non completamente.»
«Cosa vuol dire?»
«Che se ho notato vostro figlio tra molti e vi ho contattato, è perché so che la cosa funzionerà. Vostro figlio è la prova del fatto che, nonostante oltre sessant'anni di arte genetica, madre natura è ancora l'artista migliore. Forse voi non vi siete soffermati troppo sulle caratteristiche di vostro figlio, e probabilmente, se non l'avessi notato io, non l'avrebbe fatto nessuno. Ma io e la mia équipe siamo usciti estasiati dall'incontro con quella piccola creatura. Guardi, ho qui pronta una bozza della recensione.» Estrasse un fascicolo da un cassetto e lo allungò al signor Pakowsky. Era cartaceo, non se ne vedeva più molta in giro, di carta stampata. La signora Pakowsky anticipò il marito.
«E chi sarebbe il genartista?» chiese.
«Robert Greenberg. Un giovane con molto talento e tanta sfortuna. Ha ricevuto pesanti critiche negative per i suoi ultimi lavori dalla maggior parte della stampa.»
«Come mai?» si interessò Adam.
«Freak-art. Ha composto alcuni lavori per un paio di coppie eccentriche dell'alta società cittadina. Ma la freak-art non è vista di buon occhio dall'opinione pubblica, e i critici tendono a svalutarla... Doti come la capacità di osare, l'audacia e l'originalità, qualità che hanno sempre valso molto, nel mondo dell'arte. Ma chi osa rischiare il posto in nome dell'arte, oggigiorno?»
«Non saprei, dottor Clavell... A me sembrano comunque dei mostri...» rispose ingenuamente Adam. «Probabilmente l'occhio inesperto di qualcuno avrà dato lo stesso giudizio anche della Guernica di Picasso, quando la pittura era molto più apprezzata di adesso.» Loise era immersa nella lettura della recensione di suo figlio. D'improvviso apparve l'immagine di una graziosa ragazza, di fianco alla scrivania. L'immagine restò immobile, ed attraverso la sua trasparenza Adam si accorse che la sera era calata sul porto.
«Dimmi pure.» comandò vocalmente il dottor Clavell.
«C'è il suo assistente, il dottor Taylor, che desidera parlarle urgentemente.» La voce era palesemente elettronica. «Digli che sono occupato. Ci sono i signori Pakowsky qui con me.»
«Lo sa, dottor Clavell. Vorrebbe parlare con lei prima che li congedasse.» Il dottor Clavell era evidentemente imbarazzato.
«Scusatemi. Ci vorrà poco.»
«Non si preoccupi, faccia pure.» gli rispose Adam. La signora Pakowsky invece, non alzò gli occhi dai fogli che teneva in mano. Clavell uscì dalla stanza, e l'interfaccia visiva del suo computer scomparve, ma non prima di aver salutato con un cenno gentile della testa. Per qualche minuto, il signor Pakowsky non disse nulla. Si alzò, oltrepassò la scrivania, passò di fianco alla pianta da ufficio. Si accorse che era di plastica, una pianta finta. Ne toccò una foglia, e sentì fra i polpastrelli delle dita tutta la sinteticità di quell'oggetto ornamentale. Poi si voltò verso la vetrata. Invece di scorgere la città, finì per guardarsi negli occhi. Le sue sopracciglia lunghe e sottili, il suo naso lineare e preciso. La fossetta asimmetrica, artistico omaggio a Janet La Tourrette, la prima genartista donna di successo. Alzò la mano e toccò il vetro. Per un attimo gli parve di trovarsi oltre quella superficie trasparente, come uno spettro, prigioniero in una teca trasparente, fredda e male illuminata. Staccò le dita dal vetro. Tentò di guardare oltre il riflesso. Le luci della città di notte. Ma due luci più di tutte, il suo stesso sguardo. No. Non andava. Sconfitto, si voltò.
«Mi sembra un'ottima recensione. – esordì Loise. – Incisiva, efficace. E poi è vero. Un genartista di successo non avrebbe potuto fare di meglio. Alcuni particolari fisionomici sono veramente geniali, ed innovativi oltretutto.» Adam restava immobile, con le spalle rivolte alla città nella sera.
«Cosa c'é, Adam? Un mal di testa improvviso?»
«Io... Io non credo che dovremmo farlo... Loise.» Le parole gli uscirono a singhiozzi dalla gola.
«Che vuoi dire, Adam? Che rischiamo troppo?» Lui si poggiò al vetro. Cosa risponderle? Non lo sapeva. Ancora non capiva cosa c'era che lo rendeva così inquieto. Lasciò parlare Loise.
«Senti, Adam... – riprese lei – E' vero, quello che stiamo facendo non è legale. Ma hai considerato la situazione? Isaac è stato un errore, Adam. Allora non ne ero del tutto convinta, ma ora sì. Figlio naturale di due opere genetiche. Che futuro avrà? Lo stato non gli passerà un soldo. Dovrà studiare, cercarsi un lavoro, mantenersi. E' la vita che hai fatto tu, forse? E' la vita che vuoi riservargli? Immagina invece cosa diranno i mass media di lui, se il piano del dottor Clavell va in porto. Sarà un'opera dell'arte genetica, figlio di due opere di già confermata preziosità. Sarà facile che acquisti valore, ed avremmo facilmente delle sovvenzioni statali. Crescerà al centro dell'attenzione dei critici, e magari qualche miliardario eccentrico ce lo adotterà a distanza, come accade di frequente con le opere genartistiche più preziose. Avrà vita facile, successo, e non gli mancherà mai nulla. Sai di cosa sto parlando vero?»
«Sì.»
«Santo cielo. Adam! – Si alzò in piedi e lanciò i fogli della recensione sul tavolo. – E allora che cos'hai?» Adam la guardò in volto. Con lo sguardo tentava di entrargli nel cervello.
«Tu... Loise... Hai mai pensato... A che volto avresti avuto... In realtà? – Lei piegò la testa. Sconsolata. – Vedi Loise, il mio dito indice è lungo esattamente dieci centimetri, dall'attaccatura alla punta. Hanno scritto articoli sul mio dito indice. Ed anche sul mio naso, sulla mia schiena. Sul mio neo, poco sopra l'ombelico. Quando ero bambino, sotto le coperte, restavo sveglio a pensare al mio neo. Dove sarebbe stato, se nessuno avesse giocato con i miei geni? Ci sarebbe stato? Forse avrei avuto i capelli castani, come mio padre... Io non sono io, Loise.»
«Stai delirando, Adam. Nessuno di noi, neanche i nati naturali, scelgono come nascere. Essere biondo o castano, alto o basso, nero o bianco. Tutti nascono e vivono per quello che sono. Ma essere in un certo modo, portare una firma, come la tua o la mia, comporta dei vantaggi. E allora perché non scegliere il meglio, per tuo figlio?»
«Io voglio che lui sappia.»
«Sappia cosa?» «Che non è come me e come te. Che lui è quello che doveva essere. Che è veramente se stesso.» Loise passeggiò velocemente verso la porta. Si passò una mano fra i capelli.
«Glielo diremo. Quando avrà l'età giusta lo saprà.»
«E lo faremo vivere fino a quel momento nell'incubo che qualcun altro abbia scelto a che età sarai miope? O quando inizierai a perdere i capelli? O se il tuo sviluppo sarà precoce?»
«Sì, Adam, sì! Meglio questo che una vita da squallido medio-borghese, non credi? Se hai un auto di lusso, se puoi permetterti una villa al mare, se fai parte di un club di golf, è perché sei quel che sei! Ricordatelo!»
«Non riesci a pensare ad altro, Loise? Solo al benessere economico? Guarda qui!» Aprì la bocca. Tirò fuori la lingua. Poi, allungandola con un po' di sforzo, riuscì a toccarsi la punta del naso. Loise lo osservò con sgomento.
«Ho scoperto di saperlo fare a quattordici anni. Lo sai cosa mi disse mio padre, quando glielo mostrai? – Lei attese in silenzio. – Disse: chissà cosa avrà voluto dire l'autore con questo?» Per un attimo, si riuscirono ad ascoltare addirittura i rumori della strada. «La mia infanzia è stata un incubo, Loise. Non voglio che lo sia anche quella di Isaac. Soprattutto se non è quello che gli spetta.» Tutto nella stanza restò immobile per qualche minuto. I coniugi Pakowsky non incrociarono i loro sguardi neanche una volta, ed infine la porta si aprì, ed entrò il dottor Clavell. Nonostante i due fossero visibilmente turbati, il dottore non ci fece caso. Passò davanti ad Adam, scostò la sua poltroncina e si sedette alla scrivania.
«Sedetevi, per favore.» La signora Pakowsky tornò alla sua sedia. Suo marito no. Clavell continuò lo stesso:
«Sono costretto a ritirare la mia offerta di... collaborazione, signori Pakowsky. Mi dispiace.» Adam restò pietrificato.
«Perché? Cos'è successo?» domandò con aggressività sua moglie.
«Ecco vede... Voi tutti sapete che ogni opera genartistica è firmata dal suo autore. Lei, signora Pakowsky, dovrebbe avere la firma proprio sotto il seno sinistro, come ogni Vautrine che si rispetti. L'avrà sicuramente anche lei, Adam, anche se non so dove il suo autore ha preferito apporla. – Lui annuì. – Ora queste firme, più di mezzo secolo fa, venivano semplicemente tatuate sulla pelle dell'opera. Un metodo che però aveva degli svantaggi. Ad esempio una cicatrice poteva cancellare la firma. Peggio ancora, abili tatuatori potevano falsare le firme dei grandi artisti e spacciare false opere genartistiche sulla piazza. In seguito, con l'aumentare della conoscenza dei geni, le firme sulle opere cominciarono ad essere programmate dall'artista stesso durante la fase di composizione, controllando geneticamente la migrazione dei melanociti sulla pelle delle sue opere durante lo sviluppo embrionale. In effetti, le firme sui vostri corpi non sono altro che... nei, dalla forma bizzarra, che riproducono il nome del vostro autore.»
«Ma Isaac non ha questo tipo di firma.» intervenne Loise.
«Era quello che pensavamo anche noi. Avremmo posto una firma su di lui col vecchio metodo del tatuaggio, e poi l'avremmo fatta passare per una preferenza dell'artista. Ma incredibilmente... – Clavell lasciò la frase in sospeso. Per qualche secondo. – Isaac ha già una firma.» La signora Pakowsky si tirò indietro sulla sedia, immobilizzata con la bocca aperta.
«Vuole dire... Che Isaac è un'opera genartistica? Ma è impossibile... Noi non abbiamo...» «Non ho detto questo, signora Pakowsky. Ho detto solo che suo figlio ha già una firma. All'interno della natica sinistra. Durante il primo esame non ce n'eravamo accorti. Ma stamani, mentre voi eravate qui con me, i miei assistenti, eseguendo il secondo esame che voi avete autorizzato, l'hanno trovata.» Adam sorrise con indicibile gusto.
«E' proprio dove è posta la mia... Ha preso da suo padre!»
«Si, signor Pakowsky, tuttavia non possiamo dire che si tratti della firma del suo autore, Luigi de Rosi. L'influenza dei geni materni ha storpiato le 'lettere', se così vogliamo chiamarle... Eh, beh, questo è il risultato.» Estrasse un pad fotografico dalla tasca, e lo diede alla signora Pakowski. Loise lo girò e lo osservò con stupore.
«Che cosa... Che cosa c'è scritto?» chiese lei.
«E' uno scarabocchio, signora Pakowsky. Non c'è scritto nulla. Se la seconda lettera è una "G" e l'ultima una "F" potremmo quasi leggerlo... "MGTARBBF"...» Pronunciò la parola al meglio delle sue possibilità, e poi nascose il sorriso. Proseguì tentando di concludere il discorso:
«Le leggi sono chiare riguardo le opere genartistiche. Possono avere una sola firma, ed il nome dev'essere leggibile. Nessuno crederà che esista un nome o un cognome del genere. D'altro canto, è palese che il fenomeno è causato da un semplice caso di ereditarietà, e quindi è la prova che vostro figlio è... naturale.» Nella stanza scese il gelo. Passarono una dozzina di lunghissimi secondi. La signora Pakowsky si alzò dalla sedia, con una calma innaturale. Si mise in spalla la borsetta, poggiò il pad fotografico su un angolo della scrivania, poi tese la mano verso il dottor Clavell.
«Allora arrivederci, dottore.»
«Arrivederci.» rispose Clavell stringendole la mano. La signora Pakowsky uscì dalla stanza. Adam girò intorno alla scrivania fino a trovarsi davanti a Clavell. Diede uno sguardo alla foto riprodotta nel pad, e sorridendo strinse anche lui la mano al dottore.
«Che cos'ha da ridere?» chiese con onesta curiosità Clavell.
«Niente, dottore. La ringrazio.» rispose il signor Pakowsky.
«Suo figlio la sta aspettando al primo piano... Non ho fatto in tempo a dirlo a sua moglie...»
«Non si preoccupi, glielo dirò io. Eccome se glielo dirò.» Si aggiustò la giacca, e uscì dalla stanza.
Drizzit 180
Chicca per i veri geek. Il ciclope è vestito (quasi) come Link, il protagonista di The Legend of Zelda. Quasi perché gli ho aggiunto un medaglione d'oro. Sarà quel medaglione d'oro? Quello che il gruppo di Drizzit sta cercando da circa centoventi strisce? Chissà.
Striscia precedente; Striscia successiva; Leggi Drizzit dall'inizio
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giovedì, dicembre 29, 2011
Drizzit 179
Chi si aspettava di sapere come va a finire col bibliotecario del tempio, dovrà attendere qualche giorno. L'attenzione si sposta di nuovo al ricevimento dei malvagi del sottosuolo, dove Baba Yaga e Drizzit hanno avuto qualche contrattempo... :)
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mercoledì, dicembre 28, 2011
Drizzit 178
Secondo me la frase più divertente di questa striscia è "Il tuo regno di giustizia è finito!" pronunciata da Brando nella seconda vignetta. Solitamente frasi del genere vengono pronunciate dagli eroi nel momento del trionfo sul nemico: "Il tuo regno di soprusi è finito!" ed è divertente vedere la situazione ribaltata. Brando è chiaramente un criminale (maestro d'armi della gilda dei tagliagole di Topple, come si chiarirà meglio più avanti), e si fa vanto del fatto di aver ucciso due guardie cittadine mettendo alle strette un vecchio bibliotecario, come se avesse deposto un re malvagio. E' decisamente un tipo strano.
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martedì, dicembre 27, 2011
Giochi di bambini
Is Tropical - The Greeks di UniversalMusicItalia
Mio fratello ne va pazzo. A me fa nostalgia. Quando ero bimbo vagavo per i campi con un bastone in mano fingendo si spappolare orde di feroci orchi. Non ho mai giocato "alla guerra" ma presumo che la mia fosse una versione fantasy dello stesso gioco. Finché restano nella fantasia, certe cose sono davvero meravigliose... purtroppo gli uomini senza fantasia tendono a realizzarle nel reale.
Drizzit 177
Quando ero bambino feci la tessera alla biblioteca comunale, e per un po' presi in prestito dei libri, leggendoli e riconsegnandoli in orario. Poi un'estate lasciai un libro a metà. Non lo riportai perché avevo intenzione di finirlo di leggere, anche se non trovavo mai il tempo. Dopo un po' persi interesse nel sapere come sarebbe andato a finire. Nel frattempo i termini di consegna erano scaduti, avrei dovuto pagare una sanzione per il ritardo? Non lo sapevo. La biblioteca chiamò chiedendomi di riportare il libro. Promisi di restituirlo. Ma mi vergognavo a entrare li dentro e riconsegnarlo con mesi di ritardo, come se avessi tentato di rubarlo e non ci fossi riuscito. Il libro rimase sullo scaffale. La biblioteca non si fece più sentire. Dopo molti anni, donai alla biblioteca una cinquantina di libri che non avevo più interesse a conservare. Tra quei libri ce n'era uno con l'etichetta della biblioteca, che avrei dovuto consegnare molto, ma molto tempo prima.
Striscia precedente; Striscia successiva; Leggi Drizzit dall'inizio
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lunedì, dicembre 26, 2011
Drizzit 176
Passato un buon Natale? Spero che siate sopravvissuti al cenone della vigilia e al pranzo del giorno dopo. Se non ce l'avete fatta, avete tutta la mia solidarietà. Ecco una nuova striscia di Drizzit, tanto per ribadire che per me oggi è un giorno come un altro. Qualcuno mi ha domandato "ma come cazzo si fa a odiare il Natale?" e io ovviamente ho fatto finta di non sentire. Non è il Natale in sé che odio (che per intenderci è una scialba festività religiosa deformata in modo idiota e grottesco, ma odiare è troppo). Quello che veramente si odia semmai è l'ipocrisia, la falsità, le moine e i sorrisoni, i regali fatti perché si deve, il buonismo, la cortesia prezzolata. Cioè si odia la gente che festeggia il Natale, perché di altri sentimenti si è fatti e di altre cose si sente il bisogno, a questo mondo. Chi non capisce e si chiede "ma come cazzo si fa a odiare il Natale" evidentemente non merita spiegazioni. E adesso via... di corsa verso il Capodanno.
Striscia precedente; Striscia successiva; Leggi Drizzit dall'inizio
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venerdì, dicembre 23, 2011
Drizzit 175
Come commentare questa striscia? Mi sono divertito tantissimo a disegnarla. Era la mia seconda scelta per la tazza di Drizzit.
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giovedì, dicembre 22, 2011
Drizzit 174
Lo ammetto per questa striscia ho fatto economia e ho riciclato i disegni della vignetta precedente, ritoccandoli appena. Grande successo del [mostro coperto da copyright] che conquista in poche vignette una gran quantità di pubblico. Ma non sperateci, quando avrà finito le sue apparizioni da comparsa, non credo che lo rivedrete di nuovo. Comunque confermo: è un professore del liceo. E anche di quelli bravi, aggiungerei.
Parlando di piccole soddisfazioni, ieri sono arrivante le tazze personalizzate che avevo ordinato. Ecco la mia tazza di Drizzit, con impressa la striscia 187 (che leggerete solo fra un pochino), nella quale ricompaio io nel ruolo dell'autore, e questo è il motivo per cui ho scelto proprio quella striscia e non altre. Esatto: puro egocentrismo. A piccole dosi, fa bene. La sfoggiavo in Gilda mentre sorseggiavo un infuso mela e cannella. Roba forte eh cazzo.
Non si tratta di gadget ordinabili, anche se in futuro (se un giorno Drizzit farà la sua comparsa nelle fumetterie) potrei pensare di proporli. Uno deve anche pensare alla propria pensione eh. A domani per un'altra striscia inedita!
Striscia precedente; Striscia successiva; Leggi Drizzit dall'inizio
Non si tratta di gadget ordinabili, anche se in futuro (se un giorno Drizzit farà la sua comparsa nelle fumetterie) potrei pensare di proporli. Uno deve anche pensare alla propria pensione eh. A domani per un'altra striscia inedita!
Striscia precedente; Striscia successiva; Leggi Drizzit dall'inizio
Evoluzione
Ho realizzato questa vignetta come "appendice" del mio ultimo racconto. E' firmata "SAB" cioè Sabrina, che è l'illustratrice protagonista del racconto, e siccome lei non utilizza il computer per dipingere, ho cercato di crearla in stile pittorico. Chi non capisce la battuta può rivolgersi al mio servizio clienti.
mercoledì, dicembre 21, 2011
Drizzit 173
Vorrei che fosse apprezzata la posa in stile ha-doo-ken di Baba Yaga. E' un altro di quei piccoli insignificanti dettagli che quando rileggi una striscia ti fa pensare: ben fatto. E si prosegue.
Striscia precedente; Striscia successiva; Leggi Drizzit dall'inizio
Striscia precedente; Striscia successiva; Leggi Drizzit dall'inizio
martedì, dicembre 20, 2011
Drizzit 172
Ripensandoci, avrei potuto giocare meglio l'inquadratura delle vignette, in modo che l'ultima non risultasse vuota. Però se c'è una cosa che adoro in una striscia, è quando cogliere il dettaglio è fondamentale. Il fatto che la battuta dell'ultimo riquadro si concentri in basso a sinistra fa sì che il lettore debba aguzzare la vista, un po' come se cercasse le differenze rispetto alla vignetta precedente, e questo alla fine mi piace molto.
Striscia precedente; Striscia successiva; Leggi Drizzit dall'inizio
Striscia precedente; Striscia successiva; Leggi Drizzit dall'inizio
Intenti letterari
Ho terminato di scrivere un lungo racconto (sono circa 40 pagine) la cui protagonista è un'aspirante illustratrice del tutto fuori dal comune, di nome Sabrina. Vede un colore in più ed è convinta di poter distinguere gli alieni che vivono tra di noi. Inizialmente avevo intenzione di buttare giù la mia risposta ai vari romanzetti romantici, o pseudo-filosofici incentrati sull'amore, che sembrano dominare l'editoria italiana. Ma non sarei stato in grado di scrivere una cosa del genere nemmeno sotto tortura. Così alla fine ho partorito qualcosa di decisamente più contorto, complesso, e curioso. Per ovvi motivi non posso pubblicarlo sul blog (gli ovvi motivi sono la lunghezza, non certo il copyright), quindi vi avvertirò se in futuro doveste trovarlo in libreria. Per adesso, vi lascio un'immagine della protagonista, che ho abbozzato velocemente. Ho dimenticato le lentiggini, ma in effetti è solo una bozza. Nella versione definitiva, le aggiungerò.
lunedì, dicembre 19, 2011
Drizzit 171
Vorrei sottolineare che non necessariamente le opinioni dei personaggi delle vignette corrispondono a quelle dell'autore che le disegna. E così spero di essermi salvato.
Striscia precedente; Striscia successiva; Leggi Drizzit dall'inizio
Striscia precedente; Striscia successiva; Leggi Drizzit dall'inizio
venerdì, dicembre 16, 2011
Drizzit 170
Credo che se quello di Drizzit fosse un party di D&D, probabilmente Katy sarebbe bollata come la "ladra" del gruppo. La verità è che, come mi preme sottolineare ogni volta, non voglio che Drizzit sia considerato un fumetto parodia di un gioco di ruolo, o perlomeno non voglio che sia considerato esclusivamente tale. Pertanto trovo sempre molto interessante scrivere strisce come questa, dove lo stereotipo viene smentito. Ebbene sì, Katy è un'imbranata. E credo che questo sia solo l'ennesimo di quei mille suoi anti-pregi che la rendono un personaggio interessante.
Striscia precedente; Striscia successiva; Leggi Drizzit dall'inizio
Striscia precedente; Striscia successiva; Leggi Drizzit dall'inizio
Su consiglio di un lettore, ho aperto un account di Drizzit su Shockdom. Si tratta di un sito "contenitore" di web-comic. Non so quanto sia utile, comunque un po' di visibilità in più non guasta. Ovviamente su quel blog dovrò ricominciare la pubblicazione delle strisce dalla numero uno! Ai miei lettori abituali conviene restare fedeli alla pagina facebook di Drizzit, oppure a questo che state leggendo, che è il blog personale dell'autore.
giovedì, dicembre 15, 2011
Drizzit 169
Altra striscia che più che intrattenere porta avanti un pochino gli eventi. Mi piace che la domanda di Drizzit nella seconda vignetta resti in sospeso, e anche che la scena termini con un po' di suspance (avrei voluto una colonna sonora drammatica sul finale: DA DA DA DAAAAAAAN). In ogni caso trovo che mi siano riuscite bene le espressioni dei personaggi in generale, in particolar modo quella di Drizzit che si ingozza di tartine all'inizio della striscia, e quella perplessa di Baba Yaga nella seconda. Nel complesso quindi, mi ritengo soddisfatto.
PS prima di Natale, presso lo Zainetto Pratico di Heward (il negozio di fumetti di Bracciano), dovreste trovare il Calendario di Drizzit 2012, primo esperimento di gadget legato al mio web-comic. Casomai foste interessati, fateci un pensierino! Contiene 12 illustrazioni di Drizzit full-color alcune delle quali sono già apparse in anteprima sulla pagina facebook di Drizzit (e qui ne riporto una). Dovrebbe costare attorno agli otto euro ma non ne sono sicuro, quando arriverà in negozio vi saprò dire meglio!
Striscia precedente; Striscia successiva; Leggi Drizzit dall'inizio
mercoledì, dicembre 14, 2011
L'opinione di una scrittrice fantasy
Interessante l'opinione di Licia Troisi sulla faccenda dell'omicida/suicida di Firenze, il tizio che i TG hanno sottolineato essere uno "scrittore fantasy" e "appassionato di Tolkien" tanto quanto "estremista di destra". Non me la sento di esprimere la mia opinione a riguardo adesso, comunque quello che scrive Licia Troisi è decisamente condivisibile. Interessante anche il suo post precedente, sull'onda dell'incendio al campo nomadi di Torino appiccato dai soliti coglioni di destra in seguito alla falsa denuncia di stupro di una sedicenne.
Drizzit 168
Nonostante la tempistica di questa striscia sia a mio parere molto buona, è comunque frustrante constatare come la suddivisione in quattro tempi dello spazio non permetta di ingrandire più di tanto i volti dei protagonisti. Dovendo far entrare i tre protagonisti in tutte e quattro le vignette, questo è il massimo che sono riuscito a fare. Il sorrisino beota di Drizzit, che in realtà è la vera chiave umoristica della sequenza, rischia di rivelarsi una chicca per chi aguzza la vista. Peccato.
Striscia precedente; Striscia successiva; Leggi Drizzit dall'inizio
Striscia precedente; Striscia successiva; Leggi Drizzit dall'inizio
martedì, dicembre 13, 2011
La Quarta Necessità
Ho acquistato l'ultima opera di Daniele Luttazzi, un fumetto da lui sceneggiato e disegnato da Massimo Giacon. Leggendolo ci ho ritrovato il comico di cui siamo tutti orfani, anche chi lo disprezza, perché come dice lui della satira se ne ha bisogno anche se non lo si realizza. La Quarta Necessità è pieno di volgarità esplicite e liberanti, è dissacrante, è grottesco, è divertente. Ci sono pochi riferimenti politici in senso stretto, ma è un'opera politica in senso ampio, perché parla di come un italiano è diventato l'italiano, e quindi indirettamente di come una nazione è diventata l'Italia che ci ritroviamo. Ovviamente non è un'opera per tutti. Ci sono persone che ridono di fronte alle scoregge di Alvaro Vitali o alle bischerate di Panariello, o che non mancano mai un film di Natale con Christian De Sica. Ecco qui siamo all'opposto, a una comicità indigesta e estremamente mordace, che si chiama satira e che è in via d'estinzione.
La vicenda dei plagi di Daniele Luttazzi mi ha deluso non tanto per la faccenda in sé... in fondo se un comico mi riporta le battute di comici americani di 30 anni fa nei suoi monologhi, non mi sento di fargliene una colpa, probabilmente io non avrei mai riso di tali battute. Così come se un disegnatore che mi riprende le inquadrature di Flash Gordon in un fumetto di fantascienza non mi indigna, allo stesso modo non mi indigna il lavoro di copiatura fatto da Daniele con gli sketch del David Letterman. Quello che mi ha deluso è stata la sua reazione, avrei preferito che dicesse "Sì scusate, avrei dovuto in fondo ai miei libri dire esplicitamente che alcune battute sono riprese dai monologhi di questi altri comici" e sarebbe finita lì. Invece ha preferito buttarla sul tecnico e dare al suo pubblico dell'ignorante. Il problema è proprio che il suo pubblico, che è cresciuto seguendolo, ignorante come dice lui non lo è... anzi. Io il discorso dei tecnicismi l'ho capito perfettamente, ma secondo me se non citi la fonte (e non basta dire "mi sono ispirato a...") quello resta plagio. Tirando le somme del discorso, anche se deluso, non mi sogno nemmeno di sminuire il talento di Luttazzi, che resta un grande artista e forse il più grande comico satirico che ci resta attualmente. Quindi se avete amato Luttazzi vi consiglio il fumetto.
E nel frattempo vi segnalo anche una recensione-riflessione parallela alla mia apparsa su Il Fatto Quotidiano, a cura di Andrea Scanzi. Buona lettura.
E nel frattempo vi segnalo anche una recensione-riflessione parallela alla mia apparsa su Il Fatto Quotidiano, a cura di Andrea Scanzi. Buona lettura.
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Drizzit 166+167
Non vorrei che il passato di Katy sembrasse troppo complicato, o difficile da raccontare. Vorrei che si potesse riassumere efficacemente con l'espressione: "Ha combinato un mare di casini." Ciò non toglie che di tanto in tanto non se ne possa approfondire un aspetto (come avverrà nelle strisce a venire), ma senza creare la necessità di sviscerare ogni punto.
Forse in questa striscia ancora non si capisce bene che Driass non ha riconosciuto Drizzit in quanto "allungato" da Baba Yaga, ma l'argomento sarà ben spiegato in seguito. Quello che volevo rappresentare qui è il terrore di Drizzit. La sorella di Drizzit è colei che lo ha torturato per quasi cento anni, quindi è normale che lui ne sia terribilmente intimorito. Certo sorgono un sacco di questioni irrisolte: perché Baba si preoccupa? Drizzit è già morto come può Driass nuocergli? Allungare una persona la rende irriconoscibile ai parenti? Cose del genere.
Striscia precedente; Striscia successiva; Leggi Drizzit dall'inizio
Forse in questa striscia ancora non si capisce bene che Driass non ha riconosciuto Drizzit in quanto "allungato" da Baba Yaga, ma l'argomento sarà ben spiegato in seguito. Quello che volevo rappresentare qui è il terrore di Drizzit. La sorella di Drizzit è colei che lo ha torturato per quasi cento anni, quindi è normale che lui ne sia terribilmente intimorito. Certo sorgono un sacco di questioni irrisolte: perché Baba si preoccupa? Drizzit è già morto come può Driass nuocergli? Allungare una persona la rende irriconoscibile ai parenti? Cose del genere.
Striscia precedente; Striscia successiva; Leggi Drizzit dall'inizio
sabato, dicembre 10, 2011
Drizzit 165
Questa mi è venuta mentre la disegnavo. Non era prevista nella sceneggiatura. Eheheh.
Striscia precedente; Striscia successiva; Leggi Drizzit dall'inizio
Striscia precedente; Striscia successiva; Leggi Drizzit dall'inizio
venerdì, dicembre 09, 2011
Drizzit 164
Mi dispiace lasciare ogni volta la storia a metà e saltare ogni tre strisce da Drizzit ai suoi compagni e viceversa, ma poi leggendo le strisce penso: questo andava raccontato proprio adesso. Ci sono aspetti del passato di Katy che se non venissero svelati a Topple, sarebbe un'occasione sprecata. Spero solo di riuscire a raccontare il tutto in modo efficace.
Striscia precedente; Striscia successiva; Leggi Drizzit dall'inizio
Striscia precedente; Striscia successiva; Leggi Drizzit dall'inizio
giovedì, dicembre 08, 2011
Ci vuole metodo
Qualche tempo fa Marco Cosentino mi diede qualche dritta sul metodo di colorazione da adottare per i miei disegni.Nel caso di Drizzit o delle Questions non credo ci sia bisogno di implementare la qualità della realizzazione grafica, in fondo si tratta di strisce e di vignette, prodotti dove i tempi e le battute sono più importanti della qualità artistica (e pur tuttavia continuo a disegnarle, anziché fare copia+incolla di striscia in striscia come potrei benissimo fare). Nel caso di disegni più complessi o più importanti però, ad esempio copertine o poster o disegni promozionali, di sicuro ho bisogno di migliorare e di proporre cose più professionali... beh quantomeno non troppo semplicistiche.
Così ho rispolverato il sistema di colorazione che Marco mi aveva consigliato di adottare. Dopo aver partorito il disegno sulla base degli schizzi iniziali, ho ripulito il tutto lasciando solo il tratto base della penna. Poi ho messo gli scuri, quindi ho schiarito le zone in luce, e infine ho passato il colore (in maniera molto uniforme) su tutto il disegno. Il risultato è abbastanza buono da incoraggiarmi a farne altri.
mercoledì, dicembre 07, 2011
Drizzit 163
L'atteggiamento di Drizzit nei confronti della sorella, la matrona Driass, mi ha dato da pensare un pochino. Per come il personaggio di Drizzit è stato presentato fin qui, non ci si aspetterebbe che sia così fifone. Eppure pensandoci bene, è probabile che Drizzit abbia subito, in quasi un secolo di convivenza tra i suoi parenti malefici, ogni tipo di angheria. Driass stessa potrebbe averlo punito, torturato e vessato psicologicamente (oltre che fisicamente). Insomma mi è sembrato lecito far fuggire e tremare Drizzit di fronte a lei. Comunque in seguito, se Drizzit dovesse trovarsi a difendere altri e non solo se stesso, sono certo che supererebbe certi traumi e tornerebbe l'impavido piccolo elfo che è sempre stato finora.
Striscia precedente; Striscia successiva; Leggi Drizzit dall'inizio
Striscia precedente; Striscia successiva; Leggi Drizzit dall'inizio
martedì, dicembre 06, 2011
Drizzit 162
Sono dovuto tornare sull'ultima vignetta di questa striscia per modificare il look di Driass, perché dopo che l'avevo disegnata più volte nelle successive strisce, alla fine l'aspetto con la quale l'avevo presentata inizialmente era completamente diverso da come la stavo disegnando al momento! ...all'inizio nella terza vignetta qui sopra, la matrona compariva con un abito lungo (simile a quello di Baba Yaga) e con i capelli agghindati in maniera meno sofisticata. Man mano le ho cambiato il look senza nemmeno accorgermene, striscia dopo striscia! Quindi prima di pubblicare questa, l'ho dovuta ritoccare. Credo che sia positivo lasciare che l'aspetto di un personaggio si evolva naturalmente, è un po' come se un'idea astratta si "adagiasse" sul suo corrispettivo profondo che abbiamo nell'inconscio. O qualcosa del genere.
Striscia precedente; Striscia successiva; Leggi Drizzit dall'inizio
Striscia precedente; Striscia successiva; Leggi Drizzit dall'inizio
Drizzit 161
Spero davvero che nessuno mi venga a rompere le scatole se ho fatto della facile ironia sulla questione del copyright su alcuni mostri di Dungeons & Dragons! A partire da questa striscia, decisi che le vicende di Drizzit+Baba potevano alternarsi a quelle di Dotto, Wally e Katy in maniera regolare, tre strisce alla volta. Sono andato avanti così per un po', come vedrete nelle prossime settimane, poi ho capito che non ci si può imporre schemi così rigidi, e sono tornato a fare come mi pare.
Striscia precedente; Striscia successiva; Leggi Drizzit dall'inizio
Striscia precedente; Striscia successiva; Leggi Drizzit dall'inizio
sabato, dicembre 03, 2011
Giochi Uniti acquista Pathfinder!
Con un annuncio essenziale ma esauriente sul proprio sito, la Giochi Uniti ha annunciato orgogliosamente di aver acquistato i diritti di Pathfinder GdR.
La Wyrd edizioni, che precedentemente ne possedeva i diritti, collaborerà con Giochi Uniti nella traduzione e nella localizzazione dei futuri manuali, garantendo così la continuità nella linea. Per gli appassionati di questo gioco di ruolo, questa non può che essere una buona notizia!
La Wyrd edizioni, che precedentemente ne possedeva i diritti, collaborerà con Giochi Uniti nella traduzione e nella localizzazione dei futuri manuali, garantendo così la continuità nella linea. Per gli appassionati di questo gioco di ruolo, questa non può che essere una buona notizia!
Se volete dare un'occhiata all'annuncio ufficiale, ve lo linko qui di seguito: Giochi Uniti annuncia l'acquisizione dei diritti di Pathfinder Gioco di Ruolo.
Drizzit 159 + 160
Queste due sequenze le ho disegnate insieme. Il cugino risorto dell'oste doveva essere un personaggio da comparsa, ma la striscia 160 è stata molto difficile da concepire. Avevo bisogno di una striscia in cui si facesse una sorta di riassunto, e in cui magari si evidenziasse che Katy è molto presa dalla resurrezione di Drizzit... ma poi mi mancava la battuta finale. Dopo una decina di stesure, mi è tornato in mente lui, e ho pensato che avrebbe potuto comparire una terza volta. Ma dopo tre vignette di chiusura come protagonista, adesso non è più una comparsa. Magari più in là lo riutilizzerò.
Striscia precedente; Striscia successiva; Leggi Drizzit dall'inizio
Striscia precedente; Striscia successiva; Leggi Drizzit dall'inizio
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